El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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modou, uouzin, mbare

saidou moussa ba

Modou aveva fatto una lunga e veloce passeggiata lungo il naviglio; egli era vestito come un cavolo, canottiera, camicia e maglietta di lana, un giubbotto. Sentiva ugualmente freddo e il suo raffreddamento peggiorava continuamente. Non riusciva a rivedere la bellezza del Naviglio, quel Naviglio che d’estate egli vedeva sotto un duplice aspetto. Specialmente di notte. Vedeva i barconi che viaggiavano. Sull’acqua c’erano le luci che si riflettevano e sembrava che la stessa acqua si muovesse. Le persone si rinfrescavano con acqua, bevande varie che sembravano rinvigorirle, dar loro la vita in quell’ambiente pieno di luci, colori e calore. Era un’acqua molto generosa. Era questo il Naviglio vivo. Ma c’era un altro Naviglio dopo il benzinaio, dopo il semaforo che era una parte morta. Anche l’acqua era morta. Si vedeva e si sentiva il puzzo della decomposizione e della periferia. Di tanto in tanto si vedeva la pattuglia dei carabinieri o della polizia. Era un naviglio senza anima. Per lui arrivare a casa era la più grande soddisfazione perché sfuggiva dal freddo intenso che non voleva vedere, ma che sentiva. Era un grande sognatore Modou che immaginava di poter sposare la figlia di Clinton. In questo modo credeva di poter realizzare se stesso.
Entrò a casa sua e sentì un caldo che lo fece sospirare. Si svestì, accese la televisione., si sedette sul divano-letto. Non contento aprì il segnale di avvio del registratore della radio, abbassando al minimo il volume. Dal diffusore venivano fuori le note di “Bamtaare Afrik” una canzone di Baa Ba Mal.
Strillò il telefono.
- Pronto!
- Sono Belal.
- Ciao, come stai! – rispose Modou
- Hai la pace!
- Solo la pace, grazie a Dio.
- Senti Modou. Ho un problema. C’è un ragazzo che è appena arrivato dal Senegal e non so dove metterlo. Ormai in casa siamo in 10. Puoi darmi una mano, ospitandolo a casa tua.
- Non dovrei prendere nessuno in casa, la padrona di casa non vuole e mi ha messo sotto il naso, quando ho affittato la casa, l’articolo del contratto che proibisce di ospitare altra gente oltre quelli indicati dal contratto stesso. Tuttavia, posso fare uno strappo, e accoglierlo per qualche tempo. Ormai sì, la padrona di casa si è già accorta che siamo brava gente e che non abbiamo niente a che fare con gli spacciatori.
Belal sentì una voce in lontananza che si lamentava e diceva: “Da quando sei entrato non riesco più a dormire. Con chi stai parlando?”
- Sto parlando con Belal..
- Salutalo, e puoi ritenerti fortunato perché finora non hai fatto altro che disturbare il mio sonno.
Modou riattaccò la cornetta dopo aver salutato Belal, mentre delle chiavi giravano nella toppa della porta. Era Uouzin che arrivando disse:
- Ciao ragazzi, che stanchezza. Si lavora molto e si guadagna poco. Voglio riposare.
- Non siamo venuti qua in Italia per riposare, siamo stati mandati per lavorare – dice Modou.
Uouzin, un giovane alto e ben fatto, quasi come un modello, viveva invece il mondo della televisione. Per lui lo schermo era la sola verità esistente. Tutto quello che passa questo mezzo era creduto come totalmente vero.
- Che cosa stai dicendo? – risponde Uoizin – il corpo ha bisogno di riposare, di vivere. Oggi ho lavorato troppo, 10 ore di fila. Poi con quello che mi dicono in fabbrica, non c’è da stare allegri. Marco, il mio collega oggi m’ha invitato a bere il caffè e mi ha chiesto: Da voi c’è il caffè? Ed ancora, quanto costa un chilo di pane? Non mi dava neppure il tempo di rispondere. Perché a Marco non interessava sentirmi, ma voleva solo raccontarsi. Ha continuato poi a dirmi che ogni week end va in giro con la sua nuova macchina, una onda. E la domenica pomeriggio va poi in giro con la moto. Mi ha detto di tutte le cose belle che ha in casa, dei sacrifici che fa per comprarle… Ma dov’è ‘Mbare?
- Sta dormendo – risponde Modou.
- E’ ora di svegliarlo, è il suo turno.
‘Mbare, che fino a quel momento era rimasto sotto le coperte e sembrava dormire profondamente, aprì dapprima gli occhi e poi dopo essersi stirato ben bene, si alzò.
- Yeewu nga (ti sei svegliato) – disse Modou
‘Mbare, si diresse nel bagno senza dire nulla. Si lavò faccia e bocca, poi uscì, salutò i presenti e andò in cucina per prepararsi la cena. Egli era sempre in conflitto con gli amici perché non riusciva ad accettare la loro vita falsa o sognante.
Uouzin, ’Mbare e Modou abitavano da tempo a Milano in una casa di periferia, piccola ma non squallida, anzi moderna. Vivevano l’emarginazione rispetto al reale senza rendersene conto.
Per loro la vita era il letto, la cucina, il bagno, la televisione e infine il lavoro. La casa dove abitavano era il loro mondo. Essi parlavano di ciò che raccontava la televisione con il telefono; guardavano le cassette che venivano dal paese d’origine. Spesso litigavano perché non erano d’accordo fra loro. Non arrivavano mai alle mani.
Uouzin approfittò subito del fatto che nessuno in casa dormisse per alzare il volume del televisore. Era l’ora del telegiornale. L’annunciatrice stava leggendo i titoli: Il proprietario di un bar tabacchi è stato ucciso; dall’accento sembrava uno straniero, forse un albanese; a Lampedusa sono sbarcati ancora clandestini; la disoccupazione negli Stati Uniti è al minimo storico, appena del 4%, è quanto si ricava dai dati degli ultimi tre mesi; l’indice mitbel è precipitato, è a meno 3%; il sindaco di…. è salito in passerella, in una sfilata di moda, per pubblicizzare indumenti intimi; ha sfilato in mutande…
- Hai sentito che cosa combinano questi albanesi e questi magrebini? Sporcano la pelle degli stranieri. Bisogna fermarli. Non devono neanche arrivare in Italia. – dice Uouzin.
- No, Uouzin, stanno giocando contro di noi, non vedi come stanno allarmando la gente. Chi ha detto che chi ha ucciso il tabaccaio è un albanese! Lo vogliono far credere – rispose Modou.
- L’ha detto la televisione, che dice sempre le cose come stanno. – ribattè Uouzin.
- Tu credi troppo alla televisione. Invece le notizie che si dicono sono costruite apposta per creare un clima di diffidenza.
- Ma ti sei bevuto la testa? Tu non guardi in giro. Guarda cosa stanno facendo gli albanesi. Sono dappertutto a rubare e a dare fastidio. E poi i marocchini che continuano a spacciare. Vai in qualsiasi giardino, non vedi altro che nordafricani a spacciare droga. E’ questa la realtà! Chi ci smena siamo noi onesti stranieri che tentiamo di guadagnarci il pane onestamente.
- Non è detto che tutti i nordafricani siano tutti spacciatori. In ciascuno di noi c’è il buono e il cattivo. In ciascun popolo ci sono coloro che vivono onestamente e coloro che invece fanno delle azioni contro la legge. Poi è proprio vero che tutti i nordafricani che sono nei giardini spacciano. Qualcuno lo farà anche, ma ce ne sono moltissimi che sono invece solo a godersi il fresco e la calma degli alberi. – soggiunse Modou. – Una patata cattiva può distruggere un sacco di patate, come anche un’arachide marcia distrugge un sacco di arachidi. Tu immigrato, che hai una casa dove andare dopo aver lavorato, sei fortunato e ti è facile fare il ‘bravo’. Ma tu ricordi sei anni fa quando eravamo appena arrivati? Dormivamo in macchina, e ci nascondevamo quando arrivavano i vigili. Tu dicevi che erano cattivi perché non ci lasciavano lavorare. E i giornali! Come ci trattavano. Ci trattavano male. Poi si ringraziava chi ci aiutava, chi ci dava informazioni, chi ci dava un sostegno. Oggi siamo diventati i bravi, perché abbiamo la casa, perché abbiamo il permesso di soggiorno. Noi esistiamo perché lavoriamo.
- Però quando noi dormivamo in macchina e si faceva una fatica enorme a comprare anche una manciata di riso non ci siamo neppure sognati di andare a spacciare. – ribatté Uouzin.
- Ti ripeto, che sono pochi coloro che spacciano. Inoltre come puoi giudicare le condizioni degli altri? Chi ti dice che anche tu se per giorni e giorni non avessi potuto mangiare non ti saresti gettato nelle braccia di coloro che sfruttano gli stranieri per far soldi con la droga? – insiste Modou - Ragiona, certamente nessuno è d’accordo con coloro che spacciano, ma dobbiamo lavorare perché questo non accada. Quest’inverno è un duro inverno per tutti. Dobbiamo unire la nostra forza, prendere coscienza e dobbiamo auto organizzarci.

Suonò il citofono con molta insistenza. Uouzin allora con calore disse:
- Sono sicuro che è uno dei nostri amici.
- Dovrebbe essere Belal, ha telefonato prima – aggiunse Modou.
- Pronto chi è?
- Sono Belal – si sentì con forza alla cornetta del citofono.
- Entra pure – sollecitò Modou.

Poco dopo Belal arrivò sulla porta che intanto era stata aperta in segno di accoglienza festosa. Era con suo cugino, che era appena arrivato dal Senegal. Questi strinse la mano a tutti.
Ablaye era un ragazzo giovane, non molto alto e abbastanza robusto, con tratti decisi e con la testa rasata. Era molto infreddolito con le mani gelide. Sentiva il freddo e gli piaceva perché lo avvertiva quasi come un segno di ospitalità del paese in cui era arrivato. Ablaye appariva, però, molto timido, forse per il freddo, ma specialmente per l’impatto che aveva avuto trovandosi in un nuovo ambiente. Certamente sentiva, nei confronti di questa nuova realtà che stava incontrando, nello stesso tempo, un senso di timore e di rispetto.
Dalla finestra della casa dove abitavano Modou e gli altri due amici, era possibile vedere il grigiore del tempo dato dalla mancanza di sole e dalla cappa di nebbia e smog.
Uouzin, vedendo l’impaccio del nuovo venuto ironicamente gli chiese:
- Fa caldo eh?
Il ragazzo rispose con un grugnito e un bel sorriso.
Uouzin continuò:
Avevi immaginato un freddo simile?
A malapena il ragazzo dapprima rispose con un no, poi incominciò a sciogliersi e a soddisfare la curiosità di ciascuno. Egli era riuscito ad avere un visto nel dicembre precedente e aveva intrapreso l’avventura del viaggio. Dapprima era stato a Parigi, città per la quale aveva avuto il visto. Poi con un treno era riuscito ad arrivare a Milano.
Il viaggio era stato abbastanza ……
- Ma la guerra in Casamance è finita? - lo interruppe Modou e senza attendere la risposta continuò – Noi africani siamo davvero pazzi. Per un pezzo di terra ricca di risorse litighiamo, distruggendo così la ricchezza senza valorizzarla. Non ci rendiamo conto di essere nemici del nostro continente, per soddisfare gli amici ignoti.
- Ti sei accorto delle ragazze come sono belle? – chiese Uouzin a Ableye - Fanno vedere tutte le loro gambe.
Ma il ragazzo vergognandosi, quasi non rispose.
‘Mbare, con il giornale in mano esclamò:
- Domani piove, sarà brutto domani.
- Ma quando piove il tempo è bello. Da noi non sta piovendo da tantissimo tempo. L’acqua è una benedizione. I bambini in Senegal escono sulla strada a giocare senza timore di infangarsi. Anzi sentono la pioggia come qualcosa che tonifica il corpo e quasi li purifica. Quando finisce di piovere è il momento di esprimere la creatività, di costruire le case con la sabbia. E’ certamente il momento più bello. – ribattè Ableye.
- Qui in Italia il tempo è bello solo quando c’è il sole. E tutti allora sono contenti. Sembra che ciascuno freni la propria lingua astenendosi dal bestemmiare – disse Modou – tutti noi abbiamo però sempre qualcosa per cui lamentarci. Da una parte ci si lamenta perché c’è il sole, dall’altra perché c’è la pioggia. Il lamento è una cosa connaturale all’essere uomo. Direi anzi che l’uomo non esiste se non si lamenta.
Intanto sulla televisione si vedevano le immagini che pubblicizzavano l’uscita di un nuovo CD di Michel Jackson.
- Che bello! - disse Belal.
Ma aveva appena finito di esclamare il suo entusiasmo che la televisione passò a trasmettere un nuovo telegiornale. Ancora una volta, mentre l’annunciatrice leggeva le notizie apparve l’immagine di Lampedusa e diventò importante ciò che lei stava comunicando e cioè che nell’isola erano arrivati ancora dei clandestini. Poi seguì la notizia dei nuovi crimini avutisi a Milano, dell’aumento delle forze dell’ordine per il controllo del territorio e la partenza del sindaco di Milano per gli Stati Uniti d’America per imparare la tolleranza zero.-
- Sei arrivato nel momento più difficile – dice Modou ad Ableye.
Questi sembrò un po’ impaurito. L’amico, però intervenne per spiegargli che la paura era costruita e voluta dagli altri per mettere a disagio le persone. Egli sosteneva che responsabile di questa sensazione o atteggiamento fantasioso, irreale era la stessa televisione.
Uouzin in maniera aggressiva disse:
- Tu stai raccontando delle cavolate, la televisione è un mezzo potente e sicuro per l’uomo, essa insegna e informa. Noi attraverso di lei siamo in grado di entrare in qualsiasi parte del mondo, noi siamo in grado di allungare la nostra vista mediante lei, siamo in grado di portare la nostra vista da qualche metro a migliaia di chilometri. – aggredì quasi Uouzin.
- Modou però replicò: Tu ti ricordi il gioco che facevamo quando eravamo bambini. Si creava il cinema, appendendo un telo bianco non troppo spesso; ponevamo di dietro delle candele accese e delle figure di cartone che si facevano muovere.
Il pubblico vedeva delle ombre e rideva. A lui sembrava una realtà, non una finzione e per questo stava al gioco. Il nostro gioco funzionava perché c’era la luce e l’ombra, e noi bimbi eravamo contenti di produrre queste immagini che anche per noi erano delle cose vere.
I giochi dei bimbi rispecchiano la realtà di oggi e quella di domani. Essi sono i grandi maestri che hanno bisogno di un pubblico che li ascolti. Anche la televisione è come quel nostro cinema. Anche qui qualcuno manipola la realtà facendocela credere verità.
Quello che è peggio è che la televisione è un gioco pericoloso e non riconosce la relatività della verità.
La verità è soggettiva.
- Stai colpevolizzando la televisione – ribattè Uouzin
- Essa è uno strumento manipolato dagli uomini – disse ancora Modou.- Possiamo chiedere a questi di essere oggettivi e di approfondire le cose e darci il tempo di ascoltare e capire?
- Sullo schermo della televisione ora apparivano le immagini del Kosovo e si annunciava l’ultimatum della NATO contro la Serbia.
- Evviva - gridò Belal – vedrete ragazzi, che l’America sistemerà tutto come ha sistemato l’Iraq e io mi preparo ad andare in America per trovare la mia fidanzata, là dove i missili intelligenti non arrivano.
- La televisione è un vampiro che succhia il sangue delle persone, che succhia l’oggettività e la profondità e banalizza ogni cosa. – disse ancora Modou. – Oggi si parla del Kosovo e probabilmente ci parlerà di meno degli immigrati e di altri eventi.
Domani sarà un altro evento che si porrà all’attenzione e farà scomparire tutti gli altri, sia esso il Kosowo, che un’altra qualsiasi guerra. La cosa bella è che la televisione non può sopravvivere senza eventi.

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Anno 2, Numero 10
December 2005

 

 

 

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