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lo speziale

paolo fichera

Lo speziale
(Sezione tratta dalla raccolta Lo speziale, edizioni
Lieto Colle 2005)

*
Da lì è nato e
doveva morire il dovere
del figlio al figlio del padre,

le ossa predisposte al massacro
le sue al dovere di una variazione
e scarto nel seme tra natiche –
ghiaccio alla foce di un piacere –
la testa di toro nello studio, laggiù
che ripercuote il frammento tra note e
pittura, il labirinto opaco alla parete
come una giostra privata il giardino
delle vergini
accovacciate e al mio sguardo
scoperte

*
perché il nome lascia posto alla danza,
la luce che screpola la sostanza
dell’essere due in una forma di statue,
nell’essere debole di giustizia il passo,
rame su trave, una pioggia sconfitta
tra sbarre, in se stesso, le ossa del pianto

*
raccolte in grani di corolla e gioia
la riva di carta ripetuta, le ossa,
al seme che porti tra mani,
ricongiungi a te il saluto, la stretta,
la fulminea dolcezza d’assoluto,
deriva delle mie mani aperte
a fare di carta cenere e spezia
l'abbraccio fertile dei morti
nelle mie vene, il seme di realtà
stretto per lingue assorte di suoni

*
l’unica spezia che riposa
è il luogo delle tracce,
la trasparenza e l’utensile
del chiaro che si fa abbraccio,
il peccato che brucia nelle mani,
senza distanza,
l’odore della tua luce a farci
saliva sputo a fare dello scisma
impasto

*
e riconsegna la struttura, la spezia,
alla forma del vaso
il privilegio della costanza
alla ceramica flessa
la mappatura sul marmo
all’armonia del sangue
ai gesti che soli preparano
l’ossatura del riverbero,
della sete, i segni scuri sulle mani

*
le mani implodono lo schermo
- pellicola di elementi -
la paziente geometria del canto
parlato alla bocca dello speziale
ad annunciare la morte seconda
la cecità - del gesto - macerata
nei resti di spezie, raffinata
oltre il canto,
la purezza resa arida e dolce
l’impasto che non crea ma chiama

*
è l’arido che copre il soffio
il dislevare della lingua la fatica
della forma che manca
nel cedere alla vita e al soffio
il rito della mancanza
minorità che precede ogni atto
e lo ricopre, il riporre di vasi
nei luoghi, il sangue speziato
dagli odori

*
il passo tra i tavoli
è il luogo del mondo
“cedesse alla vita l’ombra
della carne alla carne
la vuota imperfezione di ogni distanza

*
la sete è la calma del sogno:
è qui nel rito che si dà e plasma
le vene dell’uomo, l’occhio
che muore nell’occhio, invocando
essenze,
le preghiere a memoria dei bambini

*
la lingua dei merli che chiara
s’adagia al confine è lo scontro,
il celebrare con ali di rovine
l’incanto del volo e le tracce dell’uomo

*
il soffio del frammento ricompone
l’orto e le tue semplici ossa,
il saperlo certo e alla gioia dato
l’abitudine incisa in morte e croce
“cos’altro?”

*
fumo. le essenze bruciate al rimedio
che svanisce per essere freddo e
corpo teso; altro il dolore del ferro,
il sangue raccolto, l’incedere
e “manca nel fumo il primo raccolto,
il sapere della donna, il feto
che eroso guarisce l’uomo.
Bruciato è il dio, raccolto e plasmato
in forma di vaso, lì nel nome mi
adagio: tempo, esilio, peccato”

*
sono avvinte alla fragilità le pene
inarcate come una soglia di mani
di amanti “era questo rivestire con
la tua pelle il mio cuore il balsamo
dorato.
Il sapere del tempo solo la luce
che inarca la tua schiena, l’ebbrezza
che avvolge il riso dell’orfano
ora il sacrilegio del mondo
è la corona di fiori
sul tuo volto”

*
la spezia e il nulla che ripete
l’abbandono e la massa oscena
avanti al colore di ciglia
l’occhio che si spegne e il coraggio:
“ancora sii forte, il corvo
ha già raspato cenere, cibato terra”

*
è la corteccia – non linfa – del ramo
la stanza del fuoco,
il contorno avvolto – prezioso e avvenuto –
alla radice del mio male, il primo:
“la castità sfogata nel corpo, il mio;
ricordi?”
è la notte che illumina
il fuoco: non l’altro; la notte che
ricopre e alimenta di scuro
il chiaro e la fiamma.

la corteccia
che brucia nel fuoco
è la stanza del fuoco.

nel fumo che ritorna
al fuoco; il tradimento
e la colpa hanno le stesse mani:
il sangue chi li accoglie,
subìto.

e il fuoco si tradisce
nell’utero chiaro,
nel gesto di nascita
e cenere isterica e vuoto.

“il pozzo irradia
la sazietà del covo
ricordi?”

la morte illumina il fuoco

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Anno 2, Numero 10
December 2005

 

 

 

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