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la fortuna circola

nicola - daniele vasic - liboni

A dire la verità lo chiamai “il piccolo paradiso" era un esteso campo dall’erba profumata e verde, sotto un sole che annunciava la piena estate. I fiori variopinti creavano un sentiero in sequenza dei colori dell’arcobaleno, il venticello accarezzava il mio viso e sprigionava un fruscio a contatto con la natura, e resuscitava i miei capelli corti e lucidi, le farfalle popolavano i fiori e le nuvole mi sorridevano; in mezzo a tutto ciò c’era soltanto una collinetta poco accentuata al vertice della quale stava una quercia dai rami lunghi e maestosi con foglioline verdi e lucide, all’ombra della quale riposavo disteso, io con il mio amico libro.
All’improvviso il cielo si oscurò, il venticello divenne tempesta e sul mio paradiso tenebra infinita.
Dingggggggg……… donggggggg…….. dingggggggg………. Dongggggggg….
Apro gli occhi con fatica per via dei raggi solari, mattutini, luminosamente chiari e penetranti, la campana mi assorda le orecchie e i muri esterni e freddi della chiesa mi intorpidiscono la schiena.
Questa scena mi porta a pensare: al mio paese d’origine, a un letto caldo, a miei figli che fanno una colazione abbondante, e al fascino di mia moglie con la veste casalinga e capelli scombinati.
Ma il pensiero che mi affligge è se oggi riuscirò a elemosinare abbastanza denaro per sfamarmi, dato che sono solo uno di quelli che pensavano: vendo tutto ciò che possiedo per acquistare un biglietto che mi permetta di lasciare la miseria del mio paese, andare in Italia e tornare ricco, come una specie di eroe, ma mi sono reso conto che qui i soldi non cadono dagli alberi, che la pasta non è l’unico cibo che si mangia e che non è tutto oro ciò che riluce.
Mi alzo in piedi e la neve scende, vado avanti e il vento spinge all’indietro, ho soltanto un romanzetto in mano, che custodisco gelosamente, per ripararmi il viso dai gelidi fiocchi di neve.
L’unica cosa buona di oggi, è la domenica, e che nonostante la neve qualcuno verrà in chiesa, qualcuno che speriamo mi faccia la carità. E così mi dirigo verso la porta principale della chiesa mi siedo a fianco ad essa in modo da ripararmi dal vento e sporgo il palmo della mano.
La neve è alta, le ore passano e a quanto pare oggi nessuno ha voglia di lasciare la casa calda ed accogliente per venire in chiesa. Il buio del giorno mi ha raggiunto, affamato e indebolito riprendo il libro in mano, solo che adesso gli scalini mi sembrano più alti, e sono stufo di aspettare il mio turno per salire sulla giostra e allora, improvvisamente mi metto a piangere. Con le mani tremolanti e la vista annebbiata leggo questo romanzo che mi insegna a crescere in maniera da non desiderare nulla, d’altronde, ho sempre ingoiato la felicità degli altri e la mia amarezza. Affogo i miei dolori nella passione della lettera, ci sono soltanto io e la storia, per cui: “ancora una volta restiamo soli io e te, le tue pagine hanno il potere di stordirmi e io voglio che mi trasmettano le emozioni necessarie per vivere una vita lontana dalla realtà. Ogni tua pagina è un grande sogno e un piccolo ricordo, e sono certo che un giorno racconterai del mio destino, offrendo ad altri lo stesso piacere che oggi hai offerto a me"! A leggere quest’ultima chiudo gli occhi; poi dopo un periodo di tempo, a me sconosciuto, mi sento scuotere la spalla sinistra lentamente apro gli occhi e vedo un uomo che a differenza di me era tutto coperto con sciarpa e cappelli in lana, quella ben lavorata, che non pizzica.
Anche se metà delle parole non le ho capite riuscì a comprendere che era un signore ricco e che mi avrebbe accolto in casa sua e pagato se, accetterò di badare a suo padre che è alla fine della sua vecchiaia ed è ha ridotta capacità motoria; nel paradosso in cui vivevo pensavo che Dio non esistesse ma ora credo d’essermi sbagliato.
Il signore mi disse di lasciare tutti i pezzi di stoffa e le frangette che avevo e io lo feci, ma il libro lo portai con me in macchina. Dopo qualche chilometro di viaggio, dinanzi a me vidi aprirsi un cancello in acciaio dalle figurazioni imponenti e poi in prospettiva ad esso una casa splendida avvolta dalla neve sotto forma di un manto bianco.
All’interno la casa era impreziosita da bellissimi quadri e sculture dalle forme languide ed erano tutte opere del vecchietto, chiamato Franco.
Il figlio non perse giorni, prese l’aereo e tornò a fare la sua vita ordinaria in America.
Franco era vedovo ma nonostante ciò, quando stava con me, riusciva a sorridere, giocare a scacchi, a leggere riviste e giornali, e a farsi leggere il mio libro da me. Grazie a lui mi regolarizzai in Italia coll’acquisto del “permesso di soggiorno". La paga mensile che ricevevo permise alla mia famiglia, in Macedonia, di non vivere più nella miseria.
Dopo qualche anno, corto ma intenso, Franco raggiunse sua moglie in paradiso; e suo figlio assistette al funerale, ma non perse nuovamente giorni e tornò in America; io ormai mi ero rimesso in piedi dal punto di vista finanziario, e tornai al mio paese dopo qualche giorno.
Mia moglie e i figli non mi riconoscevano più, e néppure io loro. Quelli che erano bimbi ora sono adolescenti e quella che era la ragazza dal volto angelico ora è una donna invasa dai capelli bianchi, nonostante sia giovane. Ma l’importante è che adesso stiamo tutti insieme come una vera famiglia felice, e veramente felice fummo quando, circa dopo una settimana, arrivò una lettera in cui, il buon Franco, attestava tutta la sua eredità a me.

“Ah, mi sono dimenticato di dirvi che la fortuna è troppo impegnata, ha già troppo da fare dunque bisogna solo aspettare con pazienza il vostro turno per salire sulla giostra!!".

PS. Questo racconto è ispirato a una storia vera che poi io ho elaborato, basata su un uomo di nome Saban, che dormiva alla stazione e che un uomo prese con sé fino a quando egli non fu indipendente.

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Anno 2, Numero 10
December 2005

 

 

 

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