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per confidarvi il sonno degli insensati

alessandro de santis

Dopotutto non stava poi così male come aveva immaginato; o almeno la malattia era assolutamente un’altra, decisamente un’altra, certo non quella per la quale si era preparato da tempo, certo non quella per la quale ultimamente cominciava ad avvertire un insano senso di affezione… Guardava fuori da quella finestra alla ricerca di un punto fisso dove immaginare che tutti i suoi pensieri di questo periodo potessero finire la loro corsa, sciogliersi, vinti dalla calura; penetrare sotto terra fino alle radici, a mescolarsi col nucleo, il nucleo delle cose, il senso insensato.
Si sollevò di colpo dalla sedia come a volersene venir via da qualcosa che lo avesse irritato e volse lo sguardo sul suo letto disfatto; era di un bianco ancora malato, il colore non aveva ancora imparato a mentirgli; era ancora segnato sul cuscino il profilo netto del suo viso.
Pensò in quel momento che se avesse potuto, avrebbe fermato quelle sensazioni che gli rigavano le vene come in una polaroid; sapeva bene che non era così, non funzionava per niente così; di polaroid sì certo ce n’erano molte e di inutili, ma quella proprio no, non sarebbe stato affatto possibile. Quando ti sembra di aver trovato la quadratura, ecco, è il momento di lasciarla, tutto se ne va in malora… l’onda sopraffa l’incerto disegno e si ricomincia daccapo, come se nulla fosse; con un senso di smarrimento che bagna le labbra e rimbomba nelle tempie.
Andò a sedersi sul suo letto… lasciò le gambe ciondolare lentamente con un moto da altalena sbronza, tenendo sempre ben fermo il busto piantato sui fianchi. Indossava un pigiama a righe blu e rosse, elegante, di un tessuto davvero bello, lucido come la buccia delle ciliegie spiaccicate a terra sulla strada per tornare a casa quand’era piccolo; folate di calore lo assalivano furtive, nello spazio di un secondo gli risalivano dalle gambe fin su nella schiena, ma in fondo oramai c’era abituato; sopportare era un verbo che aveva dovuto imparare presto, ed alla fine a dire il vero un po’ ne andava anche orgoglioso.
Aveva una forza da animale selvatico, fiero e vigoroso; il suo era un furore elementare. Sapeva prendere fuoco nel volger di una scintilla e raffreddarsi come al soffiar di un ciclone e poi giù, pioggia monsonica da riempir le scarpe fin dentro ai calcagni; ma la sua maledizione era quella di dover stare sulla terra, ancora in superficie tra i vivi, almeno finchè Iddio glielo permetteva.
Quella sera gli venne da pensare tutto insieme… foto di gruppo da fine dei giorni; niente rompete le righe… niente pupille rosse, teste cornute o sorrisi sorpresi; il primo uomo… c’erano proprio tutti, accosciati, aggrappati l’un l’altro, in posa, sparsi come la cenere… una squinternata squadra di calcio destinata ad una gloriosa quanto fulminea retrocessione. Il bicchiere era ancora mezzo pieno e l’acqua tiepida, come il cono del suo respiro; guardava e riguardava la scatola di quelle pillole. Se smettessi di prenderle, prima o poi starei bene… erano quasi tre mesi che gliele avevano date… e lui, giù… per salute, per dovere, per errore, per inerzia.
Quelle pillole erano i lacci che lo legavano ancora alla superficie, ai vivi, alla sicurezza degli oggetti… Se smettessi di prenderle, prima o poi starei bene… ruotava sempre la lingua come ad iniziare una centrifuga nella sua bocca, prima di spingersi la pillola giù nella gola; la meccanica non era certo una cosa di poco conto.
Dopotutto non va mica così male – gli aveva detto Teo, l’infermiere – ma lui d’altronde che diavolo poteva saperne; la malattia in fondo non c’era più... sparita, disciolta, ingoiata; o magari non c’era mai stata… tempo qualche giorno e sarebbe uscito. Teo aveva iniziato il conto alla rovescia. Ogni mattina con le dita gli segnava il numero, sì, proprio quello… il numero delle pillole, quello invece, restava sempre lo stesso.
Da bambino era stato molto povero, aveva sofferto la fame; aveva scalciato per mesi sua madre pur di avere un paio di scarpe nuove.Le scarpe, figlio mio, vengono per ultime; nessuno mai ti guarderà prima i piedi delle spalle… piuttosto cammina diritto, sembri un mulo coi vestiti di una bambola... Soffrire la fame, che espressione merdona. Il distacco, sì, il distacco, stava pensando oggi – ora – adesso, come un libroCuore. Era in fondo lui sì, un merdosissimo piccolo borghese; aspettava ancora chissà che cosa e magari qualcuno che gliela venisse a servire. C’è fuori tuo fratello Alfredo; che faccio? Entra, prego… Ti stava aspettando. Teo pensava di aver detto una piccola bugia e invece… lo stava aspettando davvero e non da qualche ora.
Teo gli indicò col capo la direzione e poi sparì nelle sue cose tra i corridoi.
Mi ha detto Elsa che sei qui da qualche giorno per dei controlli. I risultati degli esami cosa dicono? Ti senti male? Stai male? Alfredo sembrava avere voglia di parlare, di sapere… o di pensare di sapere. Era stato un lungo periodo senza poter sapere… “Quando si cade, bisogna trovare il coraggio di rialzarsi; senza pensare alle conseguenze, bisogna dare tutto quel che si ha senza lasciare spazio ai ripensamenti.”. Questo sembrava accomunarci, me ed Alfredo; più del sangue, più delle foto – ricordo, più dei nodi alle cravatte. Ma adesso c’erano anche loro, sì, loro… le pillole del fratello che stava male, che non stava bene, che stava forse per finire come il suo tempo.
Senti Alfredo, avvicinati, ascolta… poco fa ero alla finestra e pensavo a… si pensa sempre a… pensavo a quanto tempo sia passato dall’ultima volta che sono stato al mare. Qui siamo distanti anni luce dalla marina, immersi nel cemento; eppure dal mare lontano, sento montare l’onda; non credo proprio che sia rivolta a me… solo vestiti di sabbia… Mi fa sentire come una rovina, una rovina aggiornata da poco… Teo l’infermiere entrò nella stanza come niente fosse; in fondo sembrava non stesse interrompendo niente. Signor Alfredo, credo che sia giunta l’ora di lasciarmi solo con… come se non si fosse sempre soli, davvero. Le spalle di Alfredo se ne andarono col suo saluto, sparirono nella porta. in fondo c’è sempre un buon motivo per inghiottire… le prime volte sembra difficile; gli altri vorticano attorno a spiegarti come si fa. Poi diventa un gesto naturale, come allacciarsi le scarpe; col tempo, sempre più veloce, più distratto, più indifferente e si inizia a non far caso neppure a quale sia la pillola…
Leo aprì la finestra per far cambiare un poco l’aria; sotto di se, dalla portineria sbucò la testa arruffata di Alfredo. Con quattro passi fu già addosso alla macchina, aprì.
I tergicristalli iniziarono a muoversi sincopati. Il tempo mi ha detto… una di queste cose… dal mattino un tempo che non ha risposta… Improvvisamente gli fu più chiaro il movimento della sua mente. Uscì sotto la pioggia… alzò lo sguardo verso la finestra spalancata. Si vedeva l’ombra di Teo in movimento; In fondo perdere – si disse – è solo una questione di metodo… dall’altra parte della vita… una bagatella per confidarvi il sonno degli insensati…

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Anno 5, Numero 21
September 2008

 

 

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