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spring song

mitra phukan

Sì, è tornata la primavera. Bohag. L’aria è di nuovo piena del suono del dhol e del pepa, le canzoni ritmate del Bihu riempiono di nuovo il cuore perfino al più cinico e incallito. Ancora le strade della città sono piene di gente vestita a festa che va da un pandal del Bihu a un altro, ascoltando i cantanti preferiti e guardando flessuose ragazze danzare gioiosamente al ritmo seducente scandito con il corno, il tamburo, il cimbalo e il canto dei loro affascinanti compagni.
Sì, è Bohag. Il mese della gioia, è tempo di festeggiare. Il kuli chiama senza posa la sua anima gemella lontana nelle notti balsamiche. Mettendo da parte la consueta timidezza, cascate di keteki, fioriscono sfrontate, mentre api indaffarate ronzano felici intorno a quell’improvvisa abbondanza di bellezza.
È passato tanto tempo da quando sono tornata in città per il Rongali Bihu. La mia vita in Inghilterra, in Scozia per essere precisi, è piena e appagante, ma vivendo sotto un cielo grigio e con una debole e pallida luce del sole, ho avuto spesso nostalgia del blu brillante e dell’oro del firmamento del Bohag, del tepore delle sole primaverile sulla pelle infreddolita dall’inverno, il tocco della brezza tiepida come la carezza di un amante. Non è sorprendente come l’intera città celebri la primavera con tale trasporto? Ho vissuto senza sole così a lungo e non me ne sono accorta finché non mi sono ritrovata nella mia città natale, ancora una volta per il Ronghali Bihu.
Sì, ho riso, cantato e danzato e sono stata felice in questa stagione di Primavera. Persino il vigore è cresciuto nelle mie vene, benché abbia ormai lasciato alle spalle gli anni della giovinezza. Avrei voluto accanto a me la presenza di Varun, mentre andavo di Bihutoli in Bihutoli, insieme alla mia famiglia e agli amici, rapita dalle canzoni e dai cantanti, dalle danze e dai danzatori, condividendo la gioia e il buonumore, l’amore e le risate. Ma Varun è lontano, al di là di molti oceani, troppo occupato col suo lavoro per poter tornare al suo paese per un mese di vacanza. Chiama ogni giorno, comunque, e vuol sapere cosa ho fatto, chi ho incontrato, che effetto fa tornare nella terra dove sono nata.
Gli ho detto con disinvoltura che ti avevo visto l’altra sera. Con la stessa disinvoltura mi ha chiesto se ci eravamo parlati. No, gli ho risposto sinceramente attraverso le interferenze che facevano vibrare i cavi, non ci siamo parlati. A dire il vero non sono neanche sicura che tu mi abbia visto.
Quando Seema e Ranjit mi hanno invitato a casa loro per una festa in occasione del Bihu, non sospettavo minimamente che ci potessi essere anche tu. Ero felice che si fossero ricordati di me. “Incontrerai un sacco di gente dell’università” mi aveva promesso Seema, “vengono tutti, Surajit, Dhananjay, Rekha, Shamim, Bobbi, Achintya, Runjun. Non vedono l’ora di rivederti. È passato molto tempo da quando ci siamo incontrati, non è vero?” Se ne era andata senza fare riferimento al fatto che c’eri anche tu. Forse se ne era dimenticata. Ma no, come avrebbe potuto. Tutti quelli che ci conoscevano a quell’epoca non possono fare a meno di pensare a te quando parlano adesso con me. E viceversa. Rashmi e Riddhiman, quelli eravamo noi. Una coppia, dalla nostra tarda adolescenza sino ai vent’anni. Eravamo perfettamente complementari, persino i nostri nomi combinati assieme erano eufonici. Se Riddhiman era vicino, Rashmi non poteva essere troppo lontana. Se si udivano le risa di Rashmi, Riddhiman aveva di certo detto qualcosa di divertente.
Ero la tua ispirazione, dicevi, negli anni in cui le nostre vite, le ore di veglia, quasi ogni nostro pensiero cosciente erano inestricabilmente intrecciati come le acque del Luit e le secche sabbiose che ne punteggiano il letto. Le poesie che scrivevi, le canzoni che cantavi erano tutte per me, sostenevi. E io beandomi del calore delle tue attenzioni, adorando quando mi guardavi tra il pubblico dritta negli occhi mentre la tua voce di velluto si librava sulla folla estasiata, credevo a ogni tua parola.
Ma... essere fonte di ispirazione per qualcuno, come Laura per Petrarca, è davvero sufficiente?
È stato meraviglioso vederti l’altra sera: ho sentito un fremito. È stato un brivido di – cosa? No non era amore, non era nulla di ciò che sentivo negli anni insieme al’università, quando la sola vista di te dall’altra parte della stanza era sufficiente a farmi venire la pelle d’oca. Ma di sicuro ho sentito... qualcosa. Come avrei potuto non farlo, dopo tutti quei pomeriggi passati sotto gli sgargianti alberi di Krishnasura in fiore, o le sere sulle rive del Luit, su una sponda quieta guardando scorrere il fiume ampio e silenzioso, senza riuscire a comprendere la sua grande forza e il suo potere.
Stavi cantando del Luit quando ti ho visto l’altra sera. Seema aveva fatto montare un piccolo palco all’estremità del giardino e tu eri là, quasi come io ti ricordavo. Da quella distanza, attraverso il prato, sembrava che ti stessi esibendo a uno di quei festival dell’università dove sei sempre stato l’attrazione principale. Circondato dalle tabla e dalle chitarre, l’armonium, e adesso anche dal sintetizzatore, non sembrava che fossero passati dieci anni dall’ultima volta che ti avevo visto. Forte. Romantico. Vulnerabile. E dolorosamente bello.
Di fatto il sogno di ogni ragazza diventato realtà.
Ma i sogni sono monodimensionali, la vita no. La vita ha molte dimensioni, si sa, molte sfaccettature.
Oh, certo, avevo avuto notizie di te negli ultimi quindici anni da quando ero partita. Mezze frasi, da persone che erano venute a farci visita in Scozia o da amici e parenti, quando venivo a casa in vacanza. Non molto, solo che tu eri sempre là, nella città della tua giovinezza, che lavoravi. E che cantavi. Non professionalmente, il tuo lavoro non ti lasciava tempo, ma per occasioni speciali, a casa di amici o nei Bihutoli. Ma nessuno mi aveva parlato del tuo cambiamento. Non nel tuo aspetto, ma nella tua voce. Era sempre stata la tua caratteristica migliore, la tua voce, persino meglio della tua imponente statura e dei tuo fisico scolpito. Molto spesso, seduti su una panchina al parco, tenendoci per mano, mentre parlavi, io chiudevo gli occhi e la mente a ciò che dicevi e lasciavo che il suono della tua voce risuonasse dentro il mio essere, come se uno splendente sole del Bohag diffondesse su di noi la fragranza dei fiori di primavera.
Ma se l’altra sera non ti avessi visto là, non avrei mai creduto che fossi proprio tu a cantare. È cambiata, la tua voce. Non tocca più una corda da qualche parte nella mia anima. La notte scorsa non mi sentivo trasportata su un’onda melodiosa che seguiva la tua voce, in totale consonanza con il tuo umore.
O forse non era la tua voce a essere cambiata. Ero io.
Stavi cantando quella vecchia canzone di Bhupen Hazarika, che sempre stata una delle tue preferite e anche la mia.

Soisobotey, dhemalitey,
Tomarey omola monto aasey,
Bohag mahor Luit khonit,
Duyo satura monot aasey …

Mi ricordo tutto
L’allegria e gli scherzi della nostra infanzia
I tuffi nel Luit per Bohag
Il primo rossore della timida alba della giovinezza
Quando ti dissi che senza di te mi sarei ucciso.

Molti dei miei vecchi amici mi hanno visto arrivare. I loro saluti sono stati calorosi, i loro sorrisi affettuosi. Ma c’era qualcosa, una cautela nei loro sguardi. Mi sono resa conto che alcuni gettavano una rapida occhiata al palco e poi a me. Certo, era passato più di un decennio, quindici anni completi da quando ci avevano visto nello stesso posto. Rashmi e Riddhiman. Come potevano prendere in considerazione uno di noi senza pensare all’altro. Ma non era più giustificato, non era più ammissibile fare così.
Ovunque c’era gente che festeggiava l’arrivo della primavera. Tu continuavi a cantare, mentre molte delle persone che affollavano il giardino canticchiavano con te. La tua voce si innalzava con passione quando cantavi della tempesta che aveva creato scompiglio nella primavera della tua vita.

Mi hai lasciata per un altro
Abbandonando il sovrano del tuo cuore
Te ne sei andata con il principe dell’opulenza
Cantando le ricchezze sei partita
Forgiata dall’amore per le ricchezze
In quella tempesta

Vedevo la gente che mi guardava di sottecchi mentre cantavi quei versi. Quante volte in passato ti ho sentito cantare quella canzone, quante volte quelle strofe mi hanno commosso. Ma la scorsa notte sembravano impregnate di un significato speciale.
All’improvviso ho capito. Per tutte le persone che mi conoscevano in quel giardino e gettavano occhiate furtive a me, ma soprattutto a te, io ero – sono – una traditrice. La canzone che stavi cantando, ai loro occhi corrispondeva alle nostre vite quindici anni fa. Neanche per te vi erano dubbi, la canzone era diventata casualmente la storia della nostra vita.
Per lo shock sono inciampata in una sedia sotto un roseo albero di Radhasura e mi sono seduta. Sì, certo, ero io quella che si era lasciata alle spalle un amore giovanile e se ne era andata nel paese delle ricchezze, non è vero? Ero quella che non aveva atteso che il suo amato si trovasse un lavoro e si era invece spostata con un NRI, un uomo più vecchio di svariati anni, un uomo che poteva provvedere a me come tu, Riddhiman non avresti mai sperato di poter fare,
Ma non è mai stato così. Mai. Io non ti ho mai tradito. Per tradire un amore devi prima tradire te stesso. Come posso spiegartelo? Devo proprio farlo?
La tua voce, più roca adesso di quando l’avevo sentita l’ultima volta, proseguiva

D’improvviso dopo tanto tempo
ti ho rivista
L’oro dei tuoi gioielli risplendeva da lontano

Sì, capisco che ti debbo delle spiegazioni. A te e anche a me stessa. Puoi pensare ed essere convinto che ti abbia tradito. Probabilmente per te è più facile pensare questo di me. Ma in fondo al cuore lo sai che non è andata esattamente così, non è vero?
Me la ricordo bene anche io quella occasione. È stato dieci anni fa. Ero venuta a casa con Varun. Non era la prima volta che eravamo venuti in vacanza. Ma mi ricordo che quella volta ero particolarmente felice. No, non era per i gioielli che mi avevi visto addosso. Ma perché le cose andavano bene. Avevo appena finito il mio dottorato in chimica in una nota università britannica e là ero riuscita a trovare un lavoro gratificante. Non vedevo l’ora di cominciare. Certo, lo stipendio era buono. Ma non ci crederesti, Riddhiman, se ti dico che lo stipendio non era il motivo per cui ero felice. No, ero felice perché sarei stata parte di un gruppo che lavorava nell’avanguardia delle scienze. Ingegneria genetica, quel tipo di cose. Almeno avevo l’impressione di contribuire con qualcosa di davvero importante per l’umanità. Mi chiedo se tu abbia mai provato questa sensazione, Riddhiman. Il luccichio che hai visto intorno a me quel giorno, dieci anni fa, non era il luccichio dell’oro, ma lo splendore della mia gioia. Sono davvero felice, Riddhiman, molto più intensamente felice di quanto non lo sia mai stata con te. Anche quando la tua voce scorreva su di me nel Bohag della nostra giovinezza, c’era sempre, nonostante la mia gioia, una sensazione di irrilevanza nella mia mente. La poesia va benissimo, la musica anche, ma che dire delle altre cose che compongono l’esistenza? Ero una studentessa di scienze e la mia mente ha sempre pensato in maniera molto pratica. Ma quando guardo con il microscopio elettronico il microcosmo della vita, quando leggo di recenti scoperte fatte dai miei colleghi scienziati come me, sento il potere della poesia che pervade il mio essere in un modo che non ho mai provato con te, Riddhiman. Dopo tutti questi anni passati nella ricerca ho persino un paio di brevetti col mio nome e questa è musica molto più dolce di qualunque altra canzone tu abbia mai cantato per me.
È amore per i beni materiali? Si tratta di brama per l’oro? Non credo, Riddhiman, e sono sicura che se ci pensi bene, sarai d’accordo con me.
Molti dei miei vecchi amici erano presenti l’altra sera. Mi hanno parlato con affetto e sono stati così amichevoli come se ci fossimo incontrati solo quindici giorni prima e non quindici anni. Abbiamo parlato di molte cose poco importanti come se la mia mente fosse affollata di pensieri su di te, su di noi. Runjun, Rita, Shamim, Dhananjay – me li ha portati tutti Seema, dicendo “Guardate un po’ chi c’è!”
“Ti vedo bene, Rashmi” mi hanno detto tutti, “e siamo così orgogliosi di te. Dei tuoi successi. Lo abbiamo letto sui giornali. Non abbiamo mai incontrato tuo marito, ma abbiamo sentito molto parlare di lui. Dov’è? Non è venuto? Che peccato!”
Hai ripetuto la strofa sulla tempesta che è entrata nella tua vita, una tempesta che ti ha portato via da me.
“Non si è mai sposato, sai” disse Runjun, fraintendendo il mio sguardo verso il palco.
Risposi cautamente. “Ah, davvero? Che peccato.” O qualcosa di simile.
Non c’era alcuno tono di accusa nella voce di Runjun, davvero nessuno. Tuttavia avevo provato qualcosa – un sussulto di colpa, rimpiazzata dalla rabbia, poi dalla tristezza.
Non è colpa mia se non ti sei sposato. Non ti ho mai detto di non farlo. Anzi, mi ricordo con chiarezza che volevo che tu fossi felice. Ancora lo voglio. Ho visto l’arcobaleno nel mio cielo e ne ho desiderato uno anche per te.
La tempesta che era entrata nella tua vita. Sì, è stato un momento burrascoso, un momento difficile. Ci siamo laureati all’università nello stesso periodo, tu in letteratura inglese, io in chimica. Feci domanda e fui ammessa all’Indian Institute of Technology di Delhi, per un corso di specializzazione. Anche tu saresti voluto venire a Delhi per studiare ma non ti ammisero da nessuna parte. Hai provato in molti posti, invano. Disperato, hai cominciato a cercare lavoro. Ti sei sottoposto a innumerevoli concorsi per entrare nel pubblico impiego, poi hai provato con le banche. Per te sono stati tre anni di frustrazione.
Naturalmente siamo rimasti in contatto per tutto quel periodo. Ma la mia nuova vita, i miei nuovi studi erano stimolanti, entusiasmanti e impegnativi. Rimaneva il senso di colpa che provavo. Colpa per il fatto che a me le cose andavano bene, a te no. Sarà perché sono una donna che mi sentivo in colpa?. Forse. Per anni ti ho ammirato, idolatrandoti come un eroe, idolatrando la tua poesia e la tua musica. Ma adesso facevo qualcosa in cui ero brava, in cui eccellevo. A volte, dopo aver letto le tue lettere, avevo la sensazione che fosse sbagliato da parte mia eccellere, mentre tu, l’uomo della mia vita, stavi passando un momento di tale agonia. Volevi guadagnarti da vivere. Da vero gentiluomo, volevi mantenermi per tutta la vita. Ma le cose si stavano mettendo in maniera diversa. A volte mi ritrovavo a compatirti.
Può una donna sposare un uomo che compatisce? No, mai.
E a ogni modo, Varun entrò nella mia vita poco dopo.
Varun. Come potrei descriverlo? Lo hai etichettato come un uomo ricco. Beh, ricco è un termine relativo. Certo, era ricco dal punto di vista di una persona disoccupata, che fa fatica a tirare avanti come te. Ma Varun non era milionario quando l’ho incontrato. Non siamo ricchi neanche adesso. È un medico, Riddhiman, lo sapevi, non è vero? Ma ha lasciato la pratica medica. Si occupa di ricerca sul cancro. Il suo lavoro si concentra su un tipo di leucemia che colpisce i bambini piccoli.
Fisicamente non è certo imponente come te. È più piccolo, più magro. I suoi capelli sono grigio acciaio, quelli neri quasi eclissati da quelli bianchi. Gli anni di studio gli hanno incurvato un po’ le spalle. È bello? Sinceramente, Riddhiman, dopo tutti questi anni insieme, non saprei davvero dirtelo. Per me è molto più che puramente bello.
Il suo intelletto mi ha attratto per primo. Ha una mente brillante e io ho sempre ammirato l’intelligenza. Ma ha anche un’altra qualità che mi ha completamente conquistato. È la persona più umana che abbia mai incontrato. Il suo lavoro, la sua vita sono dedicati a sconfiggere un particolare tipo di malattia. Ci può essere qualcosa di più ispirante? La sua famiglia vive a Delhi. Ci siamo conosciuti piano piano durante le sue visite in questo paese. Cominciai a non vedere l’ora di sentirlo, di incontrarlo. Le nostre conversazioni erano meravigliose. Parlavamo spesso senza posa di molte cose, dalla scienza alla società, agli appuntamenti mondani che arricchivano le nostre vite.
Con te ho sempre avuto il ruolo dell’ascoltatrice. Eri un ottimo oratore e io ero il pubblico ammaliato. Potresti biasimarmi se col passare dei giorni avevo cominciato a preferire la sua compagnia alla tua? Lui ascoltava quello che avevo da dire, le mie opinioni e i miei pensieri più reconditi, sempre attento al tono della mia voce, alle sfumature dei miei gesti, con la più sincera gentilezza e costante attenzione.
Varun ha dieci anni più di me. Ha avuto in passato una relazione con un’altra donna, un’irlandese, ingegnere informatico. Hanno convissuto, ma non si sono mai sposati. Lei non voleva figli, lui sì. Sono ancora ottimi amici. Lei è diventata anche mia amica. La considero un po’ come una sorella maggiore. E no, non mi sento minimamente minacciata dalla sua presenza.
Varun sa tutto di te. Sa a quanto indietro nel tempo risale la nostra relazione, di come eri una volta il centro del mio universo, ti come lentamente ti ho lasciato indietro.
Per quello che è successo, Riddhiman, ti ho perso. Tu sei rimasto come eri mentre io volevo di più. Come i miei orizzonti si espandevano, volevo al mio fianco un uomo che fosse mio compagno nel nuovo mondo che mi vedevo davanti. Sbagliavo a volerlo? No, non credo. Non dovremmo avere tutti il diritto di fare delle scelte in ogni momento della nostra vita? Io ho fatto la mia quando ho sposato Varun.
Ma è chiaro che tu non l’hai mai capito. Quando sono tornata a casa dopo quindici anni per comunicarti nella maniera più delicata possibile che tra noi era finita, tutto quello che sei riuscito a pensare è che ti avessi tradito. Forse, e così ti sembra anche adesso. Di certo l’altra sera quando cantavi quella canzone, pensavi a me come a una traditrice.
Perché quando una donna interrompe una relazione, è bollata come una traditrice, una che si svende per denaro? Certamente il denaro è una componente importante in una relazione. È solo da studenti universitari che pensiamo di poter vivere di amore e aria fresca. L’amore si affievolisce molto in fretta senza denaro, lo sappiamo tutti, non è così? E comunque l’amore non è tutto.
La scorsa notte mentre ti guardavo cantare l’ultima strofa di quella canzone, un’improvvisa consapevolezza si è fatta strada dentro di me. Non hai accettato il fatto che ti ho lasciato molti anni fa perché mi ero innamorata di un altro uomo. Invece ti sei ostinato a credere che era la brama per l’oro ad avermi irretito. Non era forse perché, così la penso adesso, riconoscendo la verità sarebbe stato un duro colpo per il tuo ego? Meglio farmi passare da traditrice che fare i conti con il fatto che non riuscivi a stare al passo con me? Che ti ho lasciato per un uomo che era più adatto a me? Meglio per me, persino?

Se pensi, amore mio
Che senza di te mi ucciderò
Ti sbagli di grosso
È un illusione
In vita voglio costruire un posto
Dove un uomo
Vale molto di più dell’oro

Be’, buon per te. Non ti ho mai chiesto di ucciderti, volevo solo che fossimo amici, volevo costruire un mondo più giusto, perché tu no? Quando torno a casa, vedo fucili dove prima c’erano fiori, vedo il potere dei soldi dove prima c’era amore, vedo rampante consumismo dove prima vigeva la semplicità.
Canta una canzone di giustizia, perché no, ma ricorda che ci sono molti mezzi per misurare il valore di un uomo. O di una donna. Non c’è solo il modo del poeta. Non solo quello dello scienziato. Ma un po’ di entrambi e anche molti altri. E dobbiamo tutti seguire il cammino per cui siamo portati.
Quando hai cantato l’ultima strofa, hai guardato dritto nella mia direzione. Io ricambiavo costantemente il tuo sguardo. Ma mi hai visto davvero? Non lo so, era buio sotto all’albero dove io sedevo. Me ne sono andata senza incontrarti affatto.
Meglio così. Ti mando questa lettera per posta. Quando ti arriverà, me ne sarò già andata. Tornata da Varun, tornata da mia figlia Anita, alla nostra casa, ai miei laboratori, ai miei amici e colleghi.
Fa freddo adesso in Scozia. La primavera arriva prima qui che da voi. E Bohag, con le sue fragranti brezze e le melodie del Bihu, non viene per niente. Ma sarà sempre Bohag per voi quando leggerai questa lettera. E se hai ancora in mente qualcosa del significato di questa festa di amore e rinnovamento, ti chiedo di pensare a me d’ora in avanti con amicizia.
E forse poi, in qualche altro Bohag, sotto qualche altro cielo del Bihu, ci potremo incontrare con amicizia e con gioia.

traduzione di Caterina Monti

Dhol e Pepa = strumenti musicali tradizionali usati nelle celebrazioni del Bihu, il dhol è un tamburo attaccato al collo del suonatore, la pepa è una specie di flauto fatto con un corno di bufalo.
Ronghali Bihu = festività assamese legata all’agricoltura che segna l’inizio della primavera. Si festeggia nel mese di Bohag.
Bohag = primo mese dell’anno del calendario assamese, corrisponde a Aprile-Maggio.
Pandal = struttura per cerimonie hindu, spesso di carattere provvisorio come una tenda
Kuli = uccello nero il cui canto viene associato alla primavera
Keteki = tipo di orchidea rossa che fiorisce in primavera
Bihutoli = luogo di celebrazione del Bihu.
NRI = Non Resident Indian, indiano residente all’estero.

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Anno 5, Numero 21
September 2008

 

 

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