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tanti ricordi in un piccolo libro part i

3 -b scuola maffucci di milano

S. M. S “Maffucci – Pavoni” – sede di via Maffucci – Milano
Anno scolastico 2005-2006 –classe III B
Laboratorio di romanzo - professoressa Luciana Tavernini

Introduzione

I romanzi, qui raccolti, sono stati scritti dalle alunne e alunni della terza B, che hanno seguito per un quadrimestre il Laboratorio di romanzo per due spazi settimanali. Vi erano delle regole: si poteva inventare un “alter ego”, un personaggio con alcune caratteristiche di chi scriveva; si doveva scrivere in terza persona; fingere per dire meglio la verità di ciò che si voleva raccontare; infine occorreva essere coerenti. Era necessario utilizzare tutti gli ingredienti di un buon romanzo: narrare avvenimenti; descrivere persone, animali, oggetti, ambienti; inserire dialoghi diretti o indiretti; rivelare pensieri, sentimenti, emozioni e sensazioni dei personaggi durante l’azione e a distanza di tempo; esprimere emozioni e riflessioni di chi scriveva. Il metodo è consistito nel leggere di volta in volta, a voce alta e in modo espressivo, un capitolo di Tempi memorabili di Carlo Cassola, discutere di alcune tematiche e individuare degli spunti per la stesura del proprio capitolo, scriverlo a casa e leggerlo al gruppo, che lo commentava, dando suggerimenti. L’insegnante lo correggeva sia nel gruppo che a casa. Il testo poteva essere scritto a mano o al computer ma la stesura definitiva, dopo due o tre revisioni, doveva essere inviata come e mail o consegnata su floppy o cd per la stampa finale a cura dell’insegnante. Dal lavoro sono emerse discussioni interessanti e vi è stato un miglioramento nella capacità di scrivere della propria esperienza in modo personale e più ricco. I romanzi, di qualità molto diversa in base alle capacità individuali, hanno degli elementi in comune sia per il modello di partenza sia per l’argomento: la vita di adolescenti odierni. Io, che ho coordinato il Laboratorio, mi sono lasciata affascinare dal rivelarsi di tante sensibilità differenti.

Milano, 28 maggio 2006
Luciana Tavernini

Il destino che cambia la vita

IVETH VILLACIS

LA FELICITÀ CHE FA MALE

Emilia non era una ragazza che viaggiava molto.
Abitava in un quartiere “bene” con i nonni, la zia e il fratello perché i genitori si erano trasferiti per lavoro in un altro paese. I suoi genitori l’avevano lasciata a sette anni e quindi non li vedeva da cinque, ma comunicavano attraverso telefonate, lettere o si inviavano dei regali, in particolare ricordava quel carillon che le avevano inviato per il suo compleanno. Le piaceva molto perché c’era una piccola ballerina con un tutù rosa, che danzava su una musica armoniosa, quando era arrabbiata l’ascoltava e si rasserenava. Emilia aveva già dodici anni, stava crescendo e stava diventando una bella ragazza alta e magra, con i capelli castani, di solito sciolti. Lei, come tutte le ragazze, era un po’ disordinata e in quella giornata stava sistemando la sua camera, quando sentì la zia che le disse: ”Guarda, ho appena finito di parlare con tuo padre e mi ha dato una notizia meravigliosa. Dovrai raggiungerli in Italia e, visto che dovrai andare con tuo fratello, verrò anch’io per darti una mano”.
Emilia sul momento rimase perplessa perché quella era una notizia inaspettata e disse solo: “Che bello! Rivedrò i miei genitori”.
Invece la nonna era uscita dal salotto molto dispiaciuta.
Dopo una settimana in cui aveva riflettuto molto, Emilia era arrivata alla conclusione che era molto contenta di raggiungere i suoi genitori in Italia dopo tanto tempo. Era eccitata perché sarebbe stata la prima volta che prendeva l’aereo, ma era anche molto dispiaciuta per il distacco dalla nonna che per tutto quel tempo aveva sostituto la sua mamma. “Prima o poi avrebbe dovuto succedere”, pensava.
I passaporti erano pronti e i preparativi quasi terminati. Avevano fretta perché volevano partire per l’estate, infatti i suoi avevano detto loro che quella stagione era molto bella, anche se faceva molto caldo.
Il giorno prima di partire Emilia stava preparando la sua valigia, mettendo dei vestiti leggeri, data la stagione, e anche un pupazzetto che le aveva regalato la sua amica Carolina, come ricordo. Finita di sistemare la valigia, preparò anche uno zainetto con i vestiti di ricambio e gli oggetti personali, visto che il viaggio durava due giorni e si sarebbero fermati in un hotel.
Il gran giorno era arrivato. Emilia si era alzata alle sette del mattino, si era fatta la doccia, si era sistemata ed era andata a fare colazione. Era finalmente pronta. In casa c’era molta confusione e nervosismo. Emilia non capiva perché erano così nervosi, visto che il pullman sarebbe partito solo alle cinque del pomeriggio.
Decise di dare una mano alla zia, cercando di calmarla ma lei, tutta agitata, le disse: “E’ la prima volta che faccio un viaggio fuori dal paese, è un motivo valido per essere nervosi”.
Allora Emilia le rispose: “Guarda che staremo insieme e non ci succederà niente. Sta tranquilla!”
Tutti erano usciti di casa, la zia per ultima, guardandosi intorno per non dimenticare niente. Messe le valigie sul taxi, si diressero alla stazione. Saliti sul pullman, si sedettero. Erano diretti alla capitale perché Emilia viveva in una piccola città dell’Ecuador che non aveva l’aeroporto.
Durante il viaggio Emilia pensava all’esperienza che stava per fare: stava per conoscere un altro paese molto diverso dal suo. Guardava dal finestrino le colline e la campagna quasi con nostalgia. Il tragitto durava due ore, così Emilia, per far passare il tempo, si mise a giocare con il fratello, seduto vicino a lei.
La zia e la nonna erano dietro. Il pullman non era pieno e per questo faceva meno fermate. Arrivati alla capitale, presero un taxi e si diressero all’aeroporto. Impiegarono trenta minuti.
Era già tempo di salire sull’aereo. Emilia salutò la nonna che, sospirando, le disse: “Cara Emilia, appena arrivata, chiamami che sarò in pensiero per voi, non ti dimenticare di me. Tu resterai sempre nel mio cuore, non dimenticarlo! Senti, comportati bene con i tuoi genitori. Che Dio sia sempre con te!”
Emilia le rispose: “Ti assicuro che ti chiamerò sempre e soprattutto non mi dimenticherò di te e delle tante cose che hai fatto per me e mio fratello”. La zia e la nonna piangevano, Emilia era triste ma voleva dimostrare di essere forte. Così si dissero addio.
Saliti sull’aereo, loro tre erano seduti vicino. Il primo scalo era Bogotà, il successivo Lima, dove dovevano trasferirsi in hotel.
Arrivati all’ hotel, Emilia subito si sdraiò sul letto e si addormentò.
Alle otto tutti si alzarono, si fecero la doccia, si sistemarono, scesero a fare colazione e alle nove si diressero all’aeroporto. Il volo era diretto a Milano Malpensa. Nell’aereo Emilia era nervosa pensando a come sarebbe stato l’incontro con i suoi genitori. Visto che questo tratto era molto lungo, si addormentò, riuscendo così a calmarsi un po’.

LA GIOIA DI RIVEDERSI

Arrivati a Malpensa, scesero dall’aereo e aspettarono le valigie per uscire. Preso tutto, Emilia, suo fratello Paolo e la zia si diressero verso l’uscita. Quel percorso le sembrò lunghissimo e ad Emilia venne un blocco allo stomaco.
I tre si presero per mano e sorridevano Quando la porta si aprì, Emilia vide per primo il viso gioioso della madre che l’abbracciò e non smetteva di baciarla e che le disse: “Amore mio, ma come sei cresciuta e quanto sei bella!”
Con le lacrime agli occhi anche Emilia l’abbracciò fortissimamente e le sussurrò: “Ti voglio tanto bene e spero che non ci separeremo mai più”. La mamma ripose: “Certo che no piccola mia.”
Poi andò a salutare il padre che piangeva anche lui di gioia e le disse: “Adesso ci siamo riuniti e non ci separeremo mai più, come ti avevo promesso“. Emilia gli sorrise e lo abbracciò. Poi cominciò a fissare Paolo che era in braccio alla zia, aveva uno sguardo perso nei confronti della mamma e del papà perché non li ricordava molto bene.
I genitori salutarono la zia, poi tutti andarono a prendere il treno. Seduti nel vagone, i genitori chiesero: “Com’è stato il viaggio?” Paolo allora cominciò a parlare e poi anche la zia, invece Emilia preferiva stare zitta. Guardava dal finestrino e pensava alla nonna e al nuovo posto in cui doveva vivere e a una delle sue paure più forti, quella di non riuscire a imparare l’italiano. Per non pensarci più si mise a leggere Il principe e il povero, il libro che le aveva regalato il suo insegnante. Arrivata al secondo capitolo, aveva tutta la sua attenzione nel libro, infatti non aveva sentito il padre che le aveva detto: “Andiamo, dobbiamo scendere!” Il padre la prese per mano, facendola spaventare. Scesa dal treno, Emilia non vedeva l’ora di arrivare a casa perché era un po’ stanca. Camminando si rese conto che le case erano appartamenti in palazzi e non, come in Ecuador, villette a schiera.
Il loro appartamento era al secondo piano di un caseggiato ristrutturato. C’erano due stanze, il salotto, il bagno e la cucina. Emilia e la zia si sistemarono in una stanza dove c’erano due letti, invece Paolo andò nella camera dei genitori dove vi erano altri due letti.
Emilia cominciò a girare per la casa e vide che era più piccola di quella in Ecuador ma comunque bella. Quando vide che c’era una terrazza, le sembrò più bella perché, visto che non c’era il cortile, poteva stare lì, infatti le piaceva stare all’aria aperta. Mentre era sul terrazzo, si rese conto che qualcuno la stava osservando: era la vicina che la guardava in modo poco carino, così si ricordò di quello che le aveva detto la mamma e cioè di non disturbare perché i loro vicini erano anziani e un po’ permalosi.
Erano le sette ma c’era ancora il sole e il papà le spiegò che le giornate si allungano in estate. Emilia era annoiata: tutti stavano sistemando le valige e non c’era nessuno con cui parlare. Paolo stava giocando con i suoi omini, quando il citofono suonò: erano gli amici dei genitori che volevano salutare i nuovi arrivati. Con loro portarono anche la figlia che era arrivata da poco in Italia ed aveva la stessa età di Paolo. Così fecero amicizia subito. Emilia si sentì triste perché il fratello aveva trovato un’amica e lei era rimasta sola. Gli amici se ne andarono poco dopo.
Sistemate un po’ le valige, tutti si cambiarono e, prima di uscire, chiamarono la nonna ma non riuscirono a comunicare ed erano un po’ tristi e dispiaciuti. Emilia pensava: “Povera nonna, starà aspettando la nostra chiamata, spero che non si preoccupi”. Il papà disse:
“Dai ci proveremo al ritorno, adesso andiamo a mangiare”.
Andarono in un ristorante italiano per festeggiare i nuovi arrivati. Emilia pensava di prendere una pizza perché le piaceva e poi voleva assaggiarne una, fatta nel luogo d’origine. Paolo ed Emilia presero la pizza, invece la zia, il padre e la mamma preferirono la pasta. Mentre il papà ordinava, Emilia ascoltava come parlava l’italiano: l’unica parola che aveva capito era pizza.
Cominciarono a mangiare ed Emilia disse: “La pizza è buona e la vostra pasta?” Il padre le rispose: “Sono contento che ti piaccia, anche la nostra pasta è buona”.
Emilia mangiò tutto, infatti aveva molta fame. Usciti dal ristorante, mentre camminavano, la madre propose: “Per finire la serata vi piacerebbe fare un giro sul tram?” Tutti risposero: “Sì è una bella idea“. Ad Emilia piacque molto l’idea perché la incuriosivano quei mezzi di trasporto.
Ritornati a casa tardi, Emilia disse al papà: “Dai per favore, puoi riprovare a chiamare la nonna?” Il papà lo fece però non ci riuscì. La zia le disse: “Proviamo domani, adesso andiamo a letto che sarai molto stanca”.
Così lei con il pensiero della nonna si sdraiò e si addormentò.

UNA PASSEGGIATA DA RIDERE

L’alba stava spuntando e ogni mattina due uccellini si fermavano a canticchiare davanti alla finestra della camera di Emilia.
Cominciava a riconoscere il loro canto e così alle otto lei era già in piedi. Svegliava suo fratello, faceva colazione insieme a lui, la mamma e la zia e poi andava a vestirsi.
Ormai pronta alle dieci usciva di casa per la sua gita in quartiere. Aveva imparato la strada per arrivare a casa ed era decisa a conoscere il suo quartiere. Inoltre, poiché faceva molto caldo, lei preferiva stare all’aria aperta.
Prima di uscire, si preparava lo zaino con dentro due bottiglie d’acqua, una merendina, la crema solare e il cellulare per le emergenze. Poi diceva: “Io vado mamma!” e la mamma le urlava: “Aspetta”. Emilia faceva una smorfia di noia perché sapeva che la mamma stava per ripeterle lo stesso discorso che le faceva ogni mattina: “Emilia sta attenta! Se succede qualcosa chiama subito e non fare tardi!”
Lei la rassicurava dicendo: “Ok mamma, sta’ tranquilla”. Poi le dava un bacio. Paolo esclamava: “Ciao, Emi, divertiti e torna presto, così dopo andiamo al parco con la zia Aurora”.
“Va bene, farò presto. Ciao, zia, ci vediamo dopo. Adesso però vado”.
Quel giorno scese le scale, si mise in marcia verso destra. Mentre camminava, pensava al modo in cui l’aveva chiamata Paolo, “Emi”. Non si sentiva chiamare più così dal suo arrivo in Italia; in Ecuador tutti la chiamavano Emi, in particolare sua madre e sua nonna che le avevano dato quel soprannome da piccolina. A lei piaceva molto. In quell’istante le vennero in mente tanti ricordi, che le fecero stampare un bel sorriso, come se stesse vivendo di nuovo quei momenti.
Andò verso la gelateria per poi girare a sinistra, dove ancora non era mai andata. Camminando, passò di fronte a una scuola dove lei sarebbe andata, glielo aveva accennato suo papà. Le sembrò grande. Proseguì e vide che c’era un altro parco dove poteva portare Paolo, si aggirò nel parco, si sedette per un po’. Osservò un gruppo di ragazzi che le ricordava molto i suoi amici. Poi fissò un ragazzo da solo, aveva più o meno sua età e anche lui la guardava. Emilia diventò rossa e un po’ imbarazzata. Se ne andò e vicino vide che c’era una specie di negozio. Si accorse che era una biblioteca, entrò e si mise a guardare i libri. Si rese conto che c’era anche la sezione in spagnolo, prese un giornale e cominciò a leggerlo. Vide anche il ragazzo del parco che prendeva un libro e si sedeva vicino a lei. Mentre Emilia leggeva, il ragazzo le chiese: “Come ti chiami?” Lei rispose: “Emilia, e tu?” Lui disse: “Matteo”. Lei era contenta perché aveva capito quello che lui le aveva detto e perciò le lezioni d’italiano che le faceva suo padre stavano andando bene e stava per fare una nuova amicizia.
Si scambiarono qualche parola, poi decisero di uscire dalla biblioteca per parlare meglio e andarono al parco. Matteo aveva capito che veniva da un altro paese e le chiese: “Emilia da dove vieni?” Lei rispose: “Vengo dall’Ecuador e sono qua da un po’ di settimane”.
“Ma parli bene l’italiano”.
Emilia le parlò di quello che faceva ogni mattina e a lui sembrava bello.
Perciò disse: “Meglio stare fuori con questo caldo, vero?” Lei gli disse: “Sì e poi mi piace molto stare all’aria aperta”.
Matteo era uno che scherzava sempre e gli piaceva ridere. Lui trasformò quella giornata. La loro fu una passeggiata ma con tante risate. Emilia disse: “Sarà meglio cominciare a tornare”. E lui aggiunse: “Sì, hai ragione perchè mi sta venendo fame”. Lei gli chiese:
“Vuoi una merendina che ho nello zaino?”
“Sì grazie”, rispose lui.
Matteo l’accompagnò fino a una piazza perché Emilia doveva andare a sinistra e lui a destra. Lei lo salutò: “Ciao ci vediamo un’altra volta. Se vuoi domani al parco, così mi fai conoscere altri posti”. Lui confermò: “Certo, allora alle dieci. Va bene?” Lei rispose: “Ok. Ciao”.
Contenta, si diresse a casa. Incontrò suo padre che ritornava dal lavoro, così lo salutò e cominciò a raccontagli la sua fantastica giornata.

IL MAGICO SEGRETO

Emilia trovò una compagnia fissa: Matteo. Si incontravano infatti ogni mattina come d’accordo.
Un giorno si trovarono al parco e Matteo era insieme ad altri due ragazzi e, quando vide Emilia, la salutò: “Ciao, ti ho portato qualche amico per presentartelo”.
Lei disse: “Ciao, piacere, sono Emilia”.
Una ragazza dai bellissimi capelli biondi rispose: “Ciao, sono Sonia”.
C’era anche un ragazzo alto molto carino che la salutò: “Invece io sono Davide, piacere anche mio”.
Tutti insieme si diressero verso l’oratorio. Emilia era un po’ gelosa perché Matteo non le dava le stesse attenzioni di sempre, ma comunque anche lei voleva partecipare ai loro discorsi.
Arrivati in oratorio, andarono al bar a prendere qualcosa da bere, si sedettero, cominciarono a parlare della scuola e Sonia incuriosita chiese ad Emilia: “Tu che classe fai?”
Emilia rispose: “Andrò in seconda media nella scuola vicina al parco dove ci siamo incontrati”.
Sonia allora contenta aggiunse: “Anch’ io. Forse saremo nella stessa classe”.
Mentre parlavano un ragazzo si avvicinò al loro tavolo e fece cadere la bibita di Sonia, poi se ne andò. Lei gli urlò: “Ma sei matto, cosa ti è saltato in mente?”
Quando si diressero alla sala giochi, videro il ragazzo e andarono da lui.
Sonia gli chiese: “Perché mi hai fatto cadere la mia bibita?”
Lui imbarazzato le disse: “Scusa non lo volevo fare ma non sapevo come attirare la tua attenzione e magari diventare tuo amico. Comunque io sono Pietro”.
Sonia tacque imbarazzata, mentre Davide disse: “Allora benvenuto, vi presento. Lei è Emilia e lui è Matteo.”
Ad Emilia Pietro era sembrato un po’ antipatico per il suo atteggiamento maleducato, infatti non l’aveva convinta la scusa che le aveva dato, ma poi le parve un tipo a posto. Tutti insieme andarono ai giardinetti, un luogo un po’ appartato dell’oratorio, dove c’erano alberi e tanti fiori.
Si sedettero sul prato e i maschi parlavano tra loro. Emilia disse: “ Ma di cosa parlate?” Matteo rispose: “Di sport!”
Allora Sonia chiamò Emilia, che si sedette vicino a lei, e le chiese: “Tu hai avuto qualche volta una cotta per qualcuno?”
Emilia rispose: “No, penso di no. Perché tu sì?”
Sonia affermò: “Sì, alla scuola media. Sai, penso che tu capisca se sei “cotta” quando con quella persona ti trovi bene e quando, se lo vedi, senti come un solletico allo stomaco ma non è facile dire perché capita”.
Emilia pensava che era una cosa complicata.
“Ma capiterà anche a me?” si chiese. “Con Matteo mi trovo bene e ci sono volte in cui l’osservo da un altro punto di vista, cioè lo vedo più carino del solito… Forse mi piace lui.”
Come le due ragazze anche i ragazzi parlavano dello stesso argomento.
Pietro diceva: “Senti è complicato dire perché ti piace una persona, a me succede che, quando vedo Sonia, mi tremano le mani o mi batte forte il cuore, cioè sono nervoso“.
Davide e Matteo si misero a ridere a questa spiegazione, ma poi Matteo chiese: “Davide, ti piace qualcuna, adesso?”
E Davide gli confidò: “Sì, è una vicina di casa, è una bella ragazza e mi succede qualcosa di simile a quello che capita a Pietro e a te?”
Matteo rivelò: “Sai, non lo so, ma mi sembra che mi sto prendendo una cotta per Emilia.”
Pietro disse: “Perché non glielo dici?”
“È che ho paura di non essere corrisposto e di fare una figuraccia”, confessò Matteo, mentre guardava Emilia.
Davide lo prese per il braccio e gli suggerì: “Provaci oggi, accompagnala a casa, parlate e tirate fuori l’argomento!”
Matteo, non tanto convinto, disse: “Ci penserò”.
Sonia si alzò e a voce alta esclamò: “Sapete che ore sono?”
Pietro subito rispose: “Sono le dodici e mezza”.
Matteo, rivolto ad Emilia: “Vieni, dobbiamo andare!”
Lei si alzò, i due salutarono tutti e si diressero verso casa.
Strada facendo, Emilia diceva che si era divertita molto con i ragazzi che lui le aveva presentato, invece Matteo rideva di Pietro per il modo in cui si era dichiarato a Sonia.
Parlavano, ridevano, scherzavano, Matteo decise di non dirle niente: non voleva rovinare quell’ attimo magico con un argomento un po’ imbarazzante.
Passarono alcuni giorni. Emilia e Matteo non uscivano troppo spesso ed Emilia pensava per quanto tempo ancora avrebbe potuto tenere nascosto quel suo sentimento.
Un mattino Matteo le inviò un messaggio: dovevano incontrarsi nel parco alle sei del pomeriggio.
Allora Emilia chiese alla madre se poteva uscire e lei le diede il permesso, così lei inviò a Matteo un messaggio di conferma.
Arrivò in orario ma non vide Matteo fin quando lui non spuntò dietro di lei, facendola spaventare. Lui si mise a ridere e la salutò, i due si sedettero su una panchina.
Lui raccontò: “Sai, in questi giorni sono stato da mio nonno, e mi sono divertito parecchio”.
“Io invece sono stata a casa, ma forse la prossima settimana vado al mare con i miei.”
Lui entusiasta commentò: “Bello!” e poi aggiunse: “C’è un motivo per cui ti ho chiesto di venire”.
Lei incuriosita: “Dimmi, ti ascolto”.
Matteo cominciò: “Però non voglio che rovini la nostra amicizia, se non ti sta bene, dimmelo e basta, ok?”
Lei allora: “Dai, dimmi, che mi impazientisco!”
Lui: “E da un bel po’ che ci penso e mi sa che mi sono preso una cotta per te, cioè mi piaci”.
Emilia non disse niente ma era contenta perché provava, lo stesso sentimento anche lei e adesso poteva buttar fuori quell’ immenso segreto. Così gli sorrise e disse: “Sai è da un bel po’ che nascondo lo stesso segreto: anche tu mi piaci e sono contenta che tu senta questo per me!”
Lui emozionato aggiunse: “Davvero, pensavo che tu mi avresti respinto”.
Lei gli diede un bacio e lui le prese la mano.
Rimasero seduti a guardare il sole tramontare. Per Emilia quel momento era magico, si sentiva molto felice perché stava per conoscere la felicità dell’amore.

Un piccolo ricordo d'infanzia

Leo Ren

UN RISCHIO CALCOLATO

Erano le sette del mattino e Leonardo era già in piedi a guardare i cartoni in TV, mentre il resto della famiglia dormiva ancora di sopra. La partenza era prevista alle 13 del pomeriggio: prima Leonardo si doveva fermare a Roma e poi doveva partire per Shanghai, da solo.
Aveva otto anni e aveva frequentato la prima elementare, era nato a Zhèjiang si era trasferito in Italia, in provincia di Roma solo un anno prima, quando aveva appena sette anni. A scuola era amato da tutti perché era simpatico e gentile ed era intelligente. Quando aveva detto ai suoi compagni che sarebbe andato in Cina, tutti si erano messi a piangere per la tristezza.
"Leonardo cosa stai facendo di sotto?" La voce di sua madre urlante arrivò da sopra. Lui, spaventato, spense la TV immediatamente e cominciò a leggere libri cinesi. Passò quasi un'ora, finalmente suo padre scese e vide Leonardo che stava dormendo sul divano, prese una coperta e lo coprì perché si accorse che aveva freddo. Scese poi anche la mamma, vestita all'ultima moda, era molto felice. "Forse per la sua partenza", pensava Leonardo.
Arrivato il momento di partire per l'aeroporto, Leonardo venne accompagnato da una sua zia e dai suoi genitori, che avevano lasciato suo fratello di tre anni in compagnia di un suo zio, di cui si fidavano perché sapeva occuparsi di bambini.
I suoi genitori gli consigliarono di studiare molto a Shanghai perché volevano che imparasse bene la sua lingua materna. Leonardo, dopo aver ascoltato le parole dei suoi, commosso e allo stesso tempo stanco di sentirti ripetere quelle raccomandazioni, rispose di sì, cercando di essere il più convincente possibile.
Giunto finalmente all'aeroporto, Leonardo salutò i suoi genitori e sua zia.
Sull'aereo riuscì a trovare il posto da solo, subito cominciò a sgranocchiare delle patatine, poi passò alle merendine. Dopo aver riempito la pancia, ascoltando un CD, cominciò a dormire e a sognare.
In sogno sentì la sua bisnonna che gli diceva: "Leo, devi studiare quando sei in classe, hai capito?"
"Nonna, guarda fuori, ci sono le nuvole a forma di leone, di cavallo e perfino di drago, come mi hai raccontato tante volte, quando ero ancora piccolo", rispondeva lui per cambiare argomento.
Si svegliò di colpo per la folla che entrava ed usciva dall'aereo perché erano già arrivati a Roma. Lui rimase seduto al suo posto e cominciò a pensare a sua nonna ma soprattutto alle parole che gli aveva detto nel sogno. Tutto era simbolico: gli animali rappresentavano la giovinezza della bisnonna con suo marito, cioè il bisnonno di Leonardo, che ora non c'era più perché era morto quando il bambino aveva solo tre anni. Il cavallo era l'animale più importante perché ricordava il primo incontro quando i due nonni avevano ancora diciassette anni e si erano innamorati. Il leone invece era un disegno fatto dal suo bisnonno, proprio per regalarlo alla bisnonna, e infine il drago ricordava quando i tre avevano giocato insieme in un fantastico carnevale.
"Basta pensare!" disse a se stesso e cominciò a leggere un libro, che i suoi genitori gli avevano dato prima di partire.
Intanto l’aereo era decollato. Dopo una mezz'ora Leo chiuse il libro e mangiò il cibo, portatogli dalla cameriera: prosciutto, formaggio, un panino rammollito e alcune verdure cotte che erano squisite.
La mattina seguente dalla radio di bordo giunse l'ordine di allacciare le cinture di sicurezza perché l'aereo stava per atterrare.

UN INCONTRO INASPETTATO

Arrivato a Shangai, Leonardo fu portato via dal nonno, un uomo sempre in giro per affari che non aveva mai tempo di giocare con lui nel grande albergo a cinque stelle.
Quando lo aveva incontrato all’aeroporto non riusciva a riconoscerlo ma, dopo che tutti i passeggeri erano andati via, aveva cominciato a fare delle domande all’unico uomo rimasto e poco dopo aveva cominciato a sorridergli. Lui infatti non aveva immaginato che suo nonno si fosse fatto crescere sia i capelli che i baffi, così l'uomo, che aveva davanti, all'inizio gli era sembrato un estraneo.
Leonardo, dopo aver sistemato i bagagli in una camera prenotata dal nonno, cominciò ad andare nella sala d’aspetto dell'albergo a guardare i quadri appesi alle pareti. Uno di questi attirò la sua attenzione. Allora si avvicinò, cominciò a guardarlo e vide che c'erano delle frasi in cinese ma non riusciva a leggerle perché erano troppo difficili. Vide accanto a sé un signore alto, magro, con i capelli lunghi e castani, che portava anche degli occhiali e aveva un volto minaccioso. Si avvicinò e gli chiese: "Mi scusi, signore, per caso lei può essere così gentile da leggermi queste frasi?"
Lui rispose: "No, ragazzino, e ora, se vuoi scusarmi, me ne vado".
Lui se ne andò via e Leonardo rimase male come se qualcuno lo avesse sgridato.
Un ragazzo si avvicinò e gli disse: "Leonardo, sei veramente tu?"
Lui smise subito di piangere e gli rispose: "Damiano, cosa ci fai in questo hotel?"
Damiano disse di nuovo: "Sono in vacanza con tutta la mia famiglia e ci fermeremo per qualche settimana e tu?"
Sua sorella Nadia si avvicinò e portò via Damiano, che riuscì però a lasciargli il suo numero di appartamento e a proporgli anche di andare a trovarlo nel pomeriggio.
Il giorno dopo Leonardo andò nell'appartamento indicato e i due cominciarono a chiacchierare su dove andare. Decisero di andare a trovare la loro amica Tatiana.
Arrivati davanti alla casa della ragazza, dopo aver percorso un paio di chilometri, Damiano suonò molte volte il campanello ma nessuno rispose. Proprio dietro di loro videro arrivare Tatiana insieme alla sua mamma con dei sacchetti in mano. Damiano corse ad aiutarle, prese i sacchetti di entrambe. Leonardo, incavolato per il comportamento di Damiano, corse da lui e pigliò qualche sacchetto. La mamma della ragazza spaventata urlò, dicendo: "Al ladro, chiamate la polizia!"
Tatiana intervenne: "Ma, mamma, non devi gridare. Guarda che lo conosci?"
"E quando?" domandò la madre.
"Un anno fa."
Dopo aver chiarito l'equivoco, Tatiana e la sua mamma li invitarono ad entrare in casa. I due ragazzi accettarono l'invito e salirono subito nella camera della ragazza, lasciando la mamma in cucina. Nella camera, Leonardo vide una play station e accanto anche dei videogiochi, allora accese la TV e cominciò a giocare, prendendo il primo comando. Subito dopo Tatiana si avvicinò e pigliò il secondo comando. Damiano, messo da parte dai due ragazzi, rimase fermo a fissarli. Poi aprì la bocca e si rivolse a Tatiana: "Questo è per te. Se non ricordo male, te lo avevo promesso, prima di trasferirmi".
Tatiana sorpresa, non sapendo cosa dire, lo baciò.
Mentre Damiano si sentiva in paradiso, Tatiana si rivolse a Leonardo: "Leo, cosa mi hai portato?"
Lui rispose: "Ho dimenticato di portartelo".
Quando i due ragazzi si accorsero che era tardi, salutarono prima Tatiana e poi anche sua mamma e subito dopo cominciarono a correre verso l'hotel, dicendo che sarebbero ritornati presto.
Per quanto avessero corso, arrivarono in ritardo e vennero sgridati dai loro famigliari. Alla sera, quando Leonardo e suo nonno stavano andando a mangiare, incontrarono la famiglia di Damiano e il nonno invitò tutti a cenare insieme. Mentre stavano mangiando "beijing kaoya", un piatto piccante composto da pollo con contorno di insalate dolci, Leonardo pensava al regalo per Tatiana, perché non ricordava proprio dove lo avesse messo. Dopo aver mangiato un po' di cibo, si addormentò sulla sedia.

UN GIORNO INDIMENTICABILE

"Leonardo,svegliati, che il Sole è spuntato da un pezzo. E, dopo che ti sei lavato, vestito e preparato per andare a mangiare, ti dirò una cosa che ti piacerà sicuramente, vedrai", disse il nonno.
Leonardo rispose: "Nonno, allora mi alzo immediatamente e faccio tutto quello che mi hai detto”.
A tavola Leo chiese: "Nonno che cosa mi volevi dire prima di uscire?"
Lui rispose: "Come sai, oggi è domenica, e ieri, quando stavamo cenando, ti sei addormentato. Qualche istante dopo tuo padre mi ha chiamato dall'Italia per chiedermi di accompagnarti al luna park perché sa che lo desideri. E' vero?… Ah! Dimenticavo. Mi ha detto di passargli il pesce luna. Per un momento avevo immaginato che ti fossi portato dall’ Italia un pesce e invece voleva che passassi il cellulare proprio a te?”
Leonardo diventò rosso: "E' un soprannome. Me lo diedero i miei genitori quand'ero piccolo perché una mattina ho visto un pesce luna per strada con i miei in una vetrina e mi sono meravigliato perché non era una cosa che mi poteva capitare spesso. Ritornando a noi, andremo da soli o in compagnia?"
"In compagnia, ho invitato il tuo amico Damiano e, siccome voleva che venisse pure Tatiana, li ho invitati tutti e due e ci siamo dati appuntamento alle undici nella sala dell' hotel", disse il nonno.
"Cosa? Sono già le dieci meno un quarto! Sù nonno, che ci staranno già aspettando." Per arrivare al luna park presero un taxi e, man mano che viaggiavano, i ragazzi parlavano dei giochi che volevano fare. Arrivati, l’entrata venne offerta dal nonno. Comprati i biglietti, entrarono ma si separarono subito, solo Leonardo e il nonno rimasero insieme. Il nonno disse: "Ci rincontriamo, appena sentite suonare la campana della chiesa".
Leonardo si volse al nonno e disse: "Nonno, giochiamo lì, sembra molto divertente!" Lui rispose: "Va bene, giochiamo".
Leonardo pigliò il fucile e cominciò a sparare ma dopo tanti colpi non riuscì a colpire neanche un barattolo e si mise a piangere. Il nonno, per farlo smettere, colpì un barattolo e poi altri. Lui incuriosito disse: "Nonno mi insegni a sparare?"
"Prima di tutto devi concentrarti, poi mirare bene quello che vuoi colpire e infine spara."
Seguendo i consigli del nonno, sbagliava ancora ma pian piano migliorò fino a colpire il bersaglio una volta sì e una no.
Il nonno poi lo portò a fare "Un giro della morte sul treno".
Usciti da questo percorso, a Leonardo girava la testa ed era stanco, invece al nonno veniva una grande voglia di rifarlo.
Andarono ad un chiosco e si comprarono un panino, accompagnato da una bibita. Quando sentirono le campane suonare, si incontrarono con Tatiana e Damiano. Presero di nuovo un taxi e durante il tragitto si raccontarono i giochi che avevano fatto. Tatiana diceva che si era divertita a saltare e Damiano a picchiare i pupazzi che aveva vinto.
Tornati all’ hotel, Leonardo pensava: "Come sono felice, ora che ho visto di nuovo il nonno”.
Poi se ne andò a dormire.

UNA PARTENZA IMPROVVISA

Il giorno dopo, Leonardo trovò una compagnia adatta a lui: Mattia, il ragazzo della camera accanto.
Lo aveva notato fin dai primi giorni, ma non avrebbe mai pensato di farci amicizia: quell’ obeso con un’aria minacciosa gli ispirava poca simpatia.
In realtà al ragazzo piaceva scherzare ed era anche un ottimo giocatore di calcio.
Un pomeriggio si erano messi a giocare a calcio. Nella partita Leonardo cercava di rubare la palla, ma per quanto si sforzasse, facendo dei giochetti, Mattia riusciva sempre a segnare.
Poi i due andarono a fare merenda al parco e ad un certo punto Mattia disse: “Che cosa ti piace delle ragazze?”
Lui rispose: “La statura e soprattutto i capelli, e a te?”
“Beh! Il fisico sicuramente e poi il carattere.”
Un istante dopo Leonardo sentì degli odori nauseanti e lo salutò con la scusa del gabinetto.
Dentro il gabinetto dei maschi la puzza era così forte, che lui fu sul punto di tornare indietro. Dopo un po’, si era assuefatto al cattivo odore e sulle pareti vedeva ogni tipo di scrittura e disegno, colorato con tempere, inchiostro, ecc...
Una scrittura in carattere stampatello lo colpì: LEO AMA CASSANDRA MA ESCE CON TANIA.
Lo disse a Mattia, mentre facevano merenda, e lui commentò: “Non esiste un gabinetto dove non ci siano queste scritte e poi di Leo qui ne trovi un centinaio”.
Alla fine si separarono e Leonardo ritornò all’ hotel, dove incontrò il nonno.
Lui gli si avvicinò e disse: “Leonardo, devi prepararti il bagaglio, domani all’ alba devi partire per Zhejiang”.
Lui, sorpreso, domandò: “Cosa, nonno?”
“Te lo avevo detto qualche giorno fa e tu mi avevi risposto di sì”, rispose il nonno.
Il giorno dopo Leo scrisse delle lettere, tutte destinate ai suoi amici,e le lasciò in camera.
Poi, senza salutare nessuno, andò all’ aeroporto, accompagnato dal nonno.
Dopo aver fatto merenda al bar, la hostess lo accompagnò all’ aereo e Leo partì ancora da solo per la nuova destinazione.

I sogni smarriti

Diana Myslovska

UNA GRANDE CICATRICE

Anna quel giorno era molto agitata, visto che doveva partire per Mosca, dove doveva subire un’operazione alla gamba. Quando era piccola si era rovesciata dell’acqua bollente addosso e aveva una cicatrice molto evidente. Purtroppo tutti la prendevano in giro perché non voleva mettersi la gonna, anche se aveva le gambe molto belle, infatti lei aveva paura che la deridessero. Nella sua mente c’era sempre una domanda del genere: “Cosa avrebbero pensato i suoi compagni, vedendo la sua grande cicatrice?’’
Anna viveva con sua madre, una dona buona e gentile, da quando aveva quattro anni, visto che suo padre le aveva abbandonate.
Quel mattino Anna aveva finito di preparare la valigia. Aveva indossato i suoi soliti pantaloni e una camicetta bianca la sua preferita. Anna prese un libro di Margaret Irwin Simmons, l’autrice che le piaceva di più per il modo in cui esprimeva i pensieri dei suoi personaggi. Anna aveva libri di ogni genere. Scese le scale con una velocità straordinaria, visto che il taxi era già davanti a casa ad aspettarla. Sentì la voce rassicurante di sua madre: ‘‘Anna fai attenzione! Quando arriverai alla stazione di Mosca, troverai la zia ad aspettarti! ”
Sua madre infatti non la poteva accompagnare a Mosca perché aveva un appuntamento importante di lavoro dal quale dipendeva un aumento di stipendio. Quindi Anna doveva vivere per un mese intero con il suo insopportabile cugino. Era preoccupata perché dopo l’operazione non avrebbe potuto muoversi molto. Quando ripensava a suo cugino Alessandro, le veniva il voltastomaco. L’anno precedente, quando era andata a trovarlo, quello aveva frugato nelle sue cose e per di più era entrato nella stanza degli ospiti, senza bussare, nel momento in cui lei si stava cambiando. Non le aveva nemmeno chiesto scusa e da quel giorno Anna non lo sopportava più.
Durante il viaggio fino alla stazione la ragazza era molto agitata perché quello era il primo viaggio che faceva da sola: il cuore le batteva all’ impazzata. Le sembrava che il tragitto in taxi fosse più lungo del previsto. Finalmente lesse il cartellone su cui c’era scritto: Stazione di S. Pieterburg – 150 metri. Tirò un respiro di sollievo: sarebbe riuscita a prendere il treno; infatti, quando arrivò, era già sui binari. Lei una volta salita, si mise comoda al suo posto e poco dopo già partiva. Prese dallo zaino il libro. Cercava di leggere ma non riusciva a concentrarsi perché aveva una grande paura che qualcosa andasse storto e il presentimento di qualche cambiamento. Anna si fidava molto del suo sesto senso.
I suoi occhi cominciarono a chiudersi pian piano, rimise il libro nello zaino e provò a dormire un po’, visto che il suo viaggio sarebbe durato tre ore. Quando si svegliò, era già vicino a Mosca. Cominciò ad osservare il paesaggio: il cielo sembrava infuocato: era rosso acceso, arancione, viola, giallo, le sembrava che fosse esploso un arcobaleno di colori caldi.

UNA TRISTE MELODIA

Anna era appena scesa dal treno con le sue due valigie e uno zaino sulle spalle, quando sentì gridare una voce familiare: ”Ehi, Anna, sono qui!’’
Era sua zia Irene, vestita come al solito con una gonna verde scuro, lunga e ampia, e con una blusa bianca.
”Ciao zia’’, la salutò Anna, mettendo le valigie a terra. Nello steso momento qualcuno le chiuse gli occhi con le mani, Anna riconobbe subito il profumo dei dolci che preparava lo zio Yuri nel suo piccolo negozio. Si girò di colpo e saltò al collo di suo zio.
“Oh! Zio come sono felice di vederti!’’ esclamò con una voce dolcissima.
“Dai, Anna, andiamo a casa, così potrai sistemarti un po’, mentre io preparo la cena’’ ,
disse la zia. La ragazza prese lo zaino e seguì i suoi zii in macchina. Appena aperta la portiera posteriore, sentì il solito odore di fumo che non sopportava da quando era bambina. Anna salì nell’auto con un viso schifato, si allacciò la cintura e rimase in silenzio per tutto il tragitto. Osservò dal finestrino i negozi di abbigliamento, le librerie e i molti bar della città ma non poteva guardare a lungo perché cominciava a sentirsi male come al solito, quando viaggiava in auto. Visto che era anche molto stanca per il viaggio, chiuse gli occhi, sognando di farsi una doccia, mettersi a letto con le gambe in su e continuare la lettura del suo libro, sperando che suo cugino non la interrompesse.
Appena arrivata, udì la voce di Alessandro e pensò che le avrebbe fatto delle domande molto intime per cui lei si sarebbe vergognata. Quando li riaprì si meravigliò perché Alessandro era più tranquillo del solito. La salutò ma questa volta senza dire una delle sue solite battutine.
“Ciao cuginetta, come va?’’ Anna si meravigliò anche per il tono di voce, che era molto cambiato: un tempo sembrava la voce di un bambino, adesso quella di un ragazzo che stava maturando.
Anna gli ripose con una voce stupita: “Bene, grazie’’.
Lei voleva chiedergli perché non le aveva fatto nessuna domanda impertinente e neanche una delle sue battutacce, ma la zia, che aveva già portato i suoi bagagli in casa, gridò: “Anna puoi andare a riposarti, ho portato le tue cose nella stanza’’.
La ragazza alzò la testa per rispondere e nello steso momento vide che i muri della casa erano beige, un colore più piacevole di quel grigio fumo che c’era prima. Anna, prima di entrare nella sua stanza, si recò nella piccola biblioteca che aveva creato il suo bisnonno.
Là c’erano molti libri che lei amava leggere. Era dal suo bisnonno che aveva appreso l’amore per la lettura. Purtroppo lui l’aveva lasciata un mese prima. Tutti quei libri le avevano fatto venire un po’ di nostalgia dei momenti che aveva passato con lui. Era l’uomo che aveva preso sempre d’esempio, il suo maestro di vita. Quando prese un vecchio libro dallo scaffale, le scivolò una lacrima sulla guancia. Nello stesso momento Anna ricordò un discorso che le aveva fatto il bisnonno: “La vita è questa che si vive, dalla quale si impara, che ci dà momenti di gioia e momenti di dolore. E poi c’è anche una vita migliore, non dovrai mai essere triste perché io sarò sempre con te’’.
Allora Anna prese un fazzoletto dalla tasca e si asciugò le guance. Rimise il libro a posto e andò a sistemare i suoi abiti nell’armadio.
Aveva deciso di farsi una doccia e di cambiarsi. Ormai sistemata, doveva scendere le scale, che erano scivolose per la cera. Il suo lungo vestito bianco galleggiava sulle punte dei suoi piedi. Si fermò davanti alla porta della sala da pranzo. Le sembrava di avere una visione magica: nella luminosa stanza di colore beige c’era una famiglia. Quando era piccola sentiva litigare i suoi genitori quasi ogni sera. Dopo il divorzio sua madre la sosteneva come poteva. Il padre invece non si interessava di lei. Anche se era piccola, capiva perfettamente cosa succedeva. E con il tempo aveva completamente dimenticato di avere un padre. Anna avrebbe voluto avere un padre, per questo invidiava suo cugino: lui aveva una famiglia, lei invece no. Le venne da piangere, ma decise di controllarsi, aveva ormai quattordici anni, anche se non li dimostrava, e non poteva permettersi, di piangere come una bambina.
Anna fece qualche passo e andò a sbattere con la gamba contro il tavolino. A quel rumore tutti si voltarono e videro una piccola, delicata apparizione. Il nastro nero che legava i suoi capelli ricordò loro la dolorosa perdita che Anna aveva recentemente subito. “Oh, cara come sei bella stasera!’’, esclamò la zia Irene. Anna diventò rossa come una ciliegia per l’imbarazzo.
“Dai, Anna, siediti a mangiare, oggi la mamma ha preparato il ragù che ti piace tanto.’’ Alessandro con un gesto la invitò a sedersi e lei gli si sedette di fianco. Suo zio Yuri cominciò a recitare la preghiera come faceva di solito. La cena proseguì in silenzio. Dopo cena tutti potevano fare quello che volevano. Anna andò nella sua stanza, prese il libro Il segreto della vecchia bandiera. Era arrivata al punto in cui Dina arriva al collegio femminile. Lesse alcune pagine poi le cominciarono a bruciare gli occhi. Chiuse il libro, indossò la camicia da notte e si mise a letto. Il cuscino aveva un profumo di limone. Anna si girò nel letto almeno cento volte ma non riuscì ad addormentarsi. Decise allora di prendersi un bicchiere di latte. Quando ebbe versato il latte nella tazza, vide il suo vecchio pianoforte che stava nel salotto. Si avvicinò allo strumento, tolse il coperchio, si sedette e cominciò a suonare. Alessandro, che passava in quel momento in corridoio, senza far rumore si sedette in una poltrona ad ascoltarla. Il tocco della ragazza era incerto, la melodia era molto triste, come se volesse richiamare l’attenzione di una persona che non c’è più. Alla fine della melodia Anna chiuse il coperchio. Si alzò, voleva andarsene ma vide Alessandro addormentato sulla poltrona. Allora prese un copriletto dall’armadio e lo coprì. Tornò nella sua stanza. I suoi occhi si chiudevano da soli. Così si mise a letto, senza pensare a niente e si addormentò.

I DOTTORI, CHE ORRORE!

Quel mattino il sole splendeva più del solito. Anna era già sveglia da un po’. Si alzò dal letto con molta cautela, si avvicinò alla finestra e la aprì. Dalla fresca aria del mattino capì che erano più o meno le nove. Chiuse la finestra, risistemò il letto e scese per prepararsi la colazione. Sul tavolino della cucina trovò un bigliettino sul quale c’era scritto: “Cara Anna, io e Yuri siamo a lavorare nel negozio. Alessandro è a casa di un amico a studiare. Lui tornerà verso mezzogiorno. Noi torneremo solo per mangiare, quindi sei la donna di casa. Se vuoi, potresti preparare il pranzo. A proposito ho chiamato il dottore. Domani alle dieci hai un appuntamento. Non dimenticarlo. Irina.’’
Anna si prese un colpo, leggendo quel bigliettino. Una visita medica dal suo dottore. Che orrore! Anna non sopportava i medici. Le davano una brutta sensazione. Ma non ci pensò su per molto.
“Che cosa sarà mai una visita medica?’’
Decise di mettersi a cucinare. Ad Anna piaceva molto cucinare quindi per lei non sarebbe stato un problema preparare il pranzo. Aveva voglia di fare qualcosa di speciale. Per colazione mangiò solo un po’ di yogurt. Poi tirò fuori della farina, formaggio fatto in casa, sale, pepe e due uova. Prima mischiò la farina con le uova e dell’acqua, poi mischiò tutti gli ingredienti.
Ora doveva aspettare che tornassero i suoi zii. Doveva riordinare la cucina perché, come al solito, aveva rovesciato la farina. Prese uno straccio bagnato e pulì tutto, sistemando il disastro che aveva combinato. Ormai erano le undici e mezzo ed era ancora in camicia da notte. Anna corse per le scale. Si cambiò, pettinò i suoi lunghi capelli. Poi prese il libro che aveva messo da parte, adesso poteva riprendere la letture. Era arrivata al punto più interessante, quello in cui Linda e Dina scoprono la stanza segreta dietro il camino. Improvvisamente sentì la voce di suo cugino. Decise di scendere e lo vide in compagnia di una ragazza. Allora pensò: “Ma che strano, non doveva studiare con un amico?’’ Anna non voleva disturbare, quindi tornò nella sua stanza a leggere il libro.

PARTENZA VERSO L’IGNOTO

Il sole splendeva in un modo particolare quel mattino e Anna stava davanti allo specchio a pettinare i suoi capelli biondo platino,che i raggi del sole facevano risplendere come l’oro. Tutti infatti le dicevano che i suoi capelli erano un gran tesoro. Anna si mise un vestito celeste che le piaceva tanto, scese le scale e prese la borsa che aveva preparato la sera prima. Il gran giorno era arrivato. Adesso sarebbe cambiato tutto. Ad Anna piaceva molto camminare e quindi decise di fare la strada a piedi fino all’ospedale.
Il leggero vento del mattino le accarezzava le guance. Camminando, osservava i negozi.
Guardò il suo orologio e si accorse che era già in ritardo.
Anna sperava che quel giorno la potessero ricoverare e farle l’operazione in modo da poter andare a casa già il mattino dopo.
Quando arrivo all’indirizzo datole da sua zia, vide un gran edificio giallo con un’insegna su cui c’era scritto Ospedale chirurgico.
Anna entrò col fiato sospeso e un gran batticuore. Prese l’ascensore e salì fino al quarto piano, dove si trovava lo studio del suo chirurgo. Bussò alla porta e sentì una voce di donna che le disse di entrare.
Anna entrò nello studio tutta tremante e preoccupata. A prima vista la dottoressa le sembrò molto gentile.
“Ah tu, devi essere Anna, giusto? Ho guardato le tue analisi e la foto della tua cicatrice.’’ le disse con voce gentile la chirurga.
Anna diventò rossa per l’imbarazzo, comunque ebbe il coraggio di chiedere: “Allora, cosa ne pensa? Potrò togliermi quella cicatrice? La signora vide il viso serio di Anna e rispose alla domanda in modo gentile. “Beh, vedi Anna, è una cicatrice molto profonda e quindi non penso di poterla rimuovere dal ginocchio.’’
La ragazza capì che non c’era niente da fare e quindi si rassegnò ma dentro di sé sentì qualcosa rompersi. Forse era un sogno che svaniva e non si poteva più realizzare. Anna si rialzò e ringraziò la dottoressa per la sua disponibilità. Anna cominciò ad avviarsi verso casa.
Lei sapeva che, appena rientrata, le avrebbero fatto un sacco di domande. Decise comunque di affrontare la situazione. Non accorse neppure che era arrivata già davanti alla villetta di sua zia.
Entrando, si diresse verso il salotto dove erano seduti i suoi zii e Alessandro. Sua zia le fece cenno di andare a sedersi vicino a lei e cominciò il discorso.
“Anna cara, la dottoressa ci ha chiamati e ha raccontato tutto quello che è successo nel suo studio, ci dispiace molto. È arrivata anche una lettera di tua madre. Ci chiede di accompagnarti stasera all’aeroporto.’’
Anna rimase pietrificata e disse: “Ma come? Quest’anno non dovevo cominciare gli studi qui a Mosca? Perché devo andare all’aeroporto? È successo qualcosa?’’
Lo zio Yuri le rispose: “Vedi, tesoro, tua madre ha ricevuto un ottimo lavoro in Italia e vuole che tu la raggiunga’’.
Anna non poté dire nulla ma non voleva andarsene così. Purtroppo doveva rispettare la decisione di sua madre. Si alzò e andò a preparare le valige. Alessandro la seguì e si mise a guardarla, mentre lei tirava fuori dall’armadio tutti i suoi vestiti. Lui non riuscì più a trattenersi e disse: “Sai, cuginetta, mi mancherai molto. Noi due non ci siamo mai capiti bene. Ma spero che mi scriverai qualche lettera’’.
Anna rimase molto sorpresa, abbracciò suo cugino e lo ringraziò per il gentile pensiero. Ormai era pronta, mise le sue valige in macchina, salutò Alessandro e si diresse verso l’aeroporto con i suoi zii.
Lei non voleva dire niente. Quel giorno per lei fu il più terribile di tutti gli anni della sua vita. Arrivata, prese lo zaino e i suoi zii le sue valige grigie. Attraversarono un lungo corridoio bianco, gli zii la abbracciarono forte e dissero insieme: “Prenditi cura di te’’. Anna salì sull’ aereo e pensò a cosa sarebbe successo, poi in un paese sconosciuto.

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Anno 5, Numero 21
September 2008

 

 

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