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letteratura delle periferie

federico ambrosini

Verso una letteratura delle periferie?

Mi chiamo Karim Amir e sono un vero inglese dalla testa ai piedi, o quasi. La gente tende a considerarmi uno strano tipo di inglese, magari di una nuova razza, dal momento che sono il prodotto di due culture. Io però me ne frego, sono inglese (non che me ne vanti), vengo dalla periferia meridionale di Londra e voglio arrivare da qualche parte. (Hanif Kureishi, Il Budda delle periferie)

Lo sgretolamento degli antichi imperi coloniali a partire dalla seconda metà del secolo scorso con i conseguenti flussi migratori dalle ex-colonie ha contribuito, a partire dagli anni ´60, a mettere in discussione i caratteri etnico-culturali della popolazione del continente europeo, dando vita a quella che ormai da anni viene definita la società multiculturale. Non sorprende, quindi, che questioni quali immigrazione, integrazione o ibridazione siano diventate quotidiani argomenti di discussione in gran parte dei paesi del mondo occidentale. Nonostante coinvolgano la società in generale, sono questioni che emergono in maniera più evidente in ambienti marginali sia dal punto di vista geografico che economico e sociale, visto che proprio certi tipi di periferia sono spesso il punto di approdo di persone con alle spalle un’esperienza di emigrazione. Sono situazioni diffuse in gran parte dei paesi europei, in particolare in quelli che si sono dovuti confrontare con la fine degli imperi coloniali come Francia o Gran Bretagna, ma anche Germania, Paesi Bassi, i paesi della Sandinavia e, ultimamente, anche quelli che fino a poco tempo fa erano stati paesi di emigranti come Italia e Spagna. Non c’è da stupirsi, quindi, che il ridisegnamento etnico e culturale delle nazioni europee abbia influito anche sulla produzione letteraria di gran parte di esse dando origine a letterature che nascono dal movimento di uomini e dal conseguente incontro di più culture. Migrantenliteratur in Germania, letteratura migrante in Italia, littérature multiculturelle in Francia sono soltanto alcune delle definizioni di tali forme letterarie che spesso rientrano nella sbrigativa e superficiale definizione di postcolonial literature. L’importanza del contributo di tali forme al panorama letterario europeo è senza dubbio notevole. Come sottolinea la studiosa francese Pascale Casanova nel suo La République mondiale des lettres, pubblicato nel 1993, sono proprio le opere prodotte da dei “non-del-tutto”, quegli scrittori cioè provenienti dall’emigrazione o dall’incontro di più culture, le più interessanti e innovative degli ultimi anni.(1) Questi autori si trovano a cavallo fra due o più culture, quella della società ospitante da un lato e quella del paese di provenienza dall’altro; appartengono in questo modo contemporaneamente a due mondi diversi e i loro scritti risentono sia dell’uno che dell’altro. La condizione di doppia appartenenza viene esaminata da Michel Le Bris nel suo contributo a Pour une littérature-monde (2007), recentemente pubblicato per i tipi di Gallimard. Come afferma lo scrittore e saggista francese, scrittori quali Kazuo Ishiguro, Ben Okri, Hanif Kureishi o Salman Rushdie fanno parte della prima generazione di scrittori con alle spalle un passato di immigrazione che, invece di immergersi completamente nella cultura di adozione, evidenzia nelle proprie opere la consapevolezza di trovarsi in una zona senza confini partecipe di due tradizioni.(2)

Negli ultimi anni si è assistito alla nascita di un nuovo fenomeno letterario che, pur originandosi dalla mescolanza di più culture come le forme letterarie legate all’immigrazione, presenta alcune importanti novità. A differenza dei loro padri, questi scrittori non vivono più nella nostalgia del paese di provenienza, dal momento che fanno parte della società in cui vivono, dove sono cresciuti e, in gran parte dei casi, nati. Si tratta di una nuova generazione di scrittori che, in particolare in Gran Bretagna e Francia, ha incominciato a partire dagli anni ’80 a manifestare il loro scontento nei confronti della cosiddetta società multiculturale e dei problemi ad essa legati, attraverso le loro opere letterarie. Anche Danimarca, Svezia o Norvegia hanno assistito negli ultimi anni alla nascita di simili forme letterarie, fenomeno scaturito dal susseguirsi di flussi migratori verso i paesi scandinavi, come sottolinea la ricercatrice norvegese Ingeborg Kongslien in un articolo sulla recente produzione letteraria in questi paesi. Anche in questo caso l’incontro di culture diverse ha dato origine a esperienze letterarie molto affini a quelle riscontrate in precedenza nel mondo francese o anglosassone, in cui temi quali biculturalismo, ibridità culturale, integrazione o identità svolgono un ruolo centrale.( 3)

Il termine periferia è molto vasto ed esistono differenze sociali, economiche e culturali che rendono arduo il compito di individuarne una comune tipologia. Dal quartiere medio borghese di abitazioni unifamiliari agli alienanti quartieri dormitorio di tante metropoli europee, passando attraverso lussuose zone residenziali fuori città, sono tante le forme che la periferia può assumere. Nonostante tali divergenze, ogni tipologia di realtà periferica è accomunata dalla condizione di alterità nei confronti della città, quasi fosse una sorta di eterotopia, per usare un concetto coniato da Foucault. Con questo termine il filosofo francese indica quei luoghi reali ma caratterizzati dalla loro condizione di alterità rispetto ai luoghi che riflettono, nel caso della periferia, la città.( 4) Attraverso i secoli e le sue forme più diverse difatti, dal suburbium romano all’ambiente idilliaco della medio-alta borghesia inglese, la periferia è stata un’entità caratterizzata dalla diversità nei confronti del centro urbano, un contro-luogo o un’eterotopia, secondo la terminologia foucaultiana. La scelta di accostare il mondo della periferia alle forme letterarie citate non dipende soltanto dai diretti riferimenti geografici e culturali a questa realtà, nonostante questo ambiente abbia una centrale importanza in gran parte dei testi presi in considerazione. In certi casi il riferimento è esplicito sin dal titolo, basti pensare a The Buddha of Suburbia, di Hanif Kureishi, o a Le gone du Chaâba, dal nome di una periferia di Lione dall’alto tasso di immigrazione e dalle condizioni disagiate, come se l’appartenenza ad una realtà periferica fosse una componente fondamentale della propria identità, al pari della lingua o della provenienza etnica. Come già accennato, i temi collegati alla società multiculturale, quali ad esempio integrazione, alterità, bi- o multiculturalismo sono più espliciti in luoghi culturalmente, economicamente e geograficamente periferici; non sorprende quindi che in molti casi proprio ambienti di questo tipo facciano da sfondo alle vicende narrate. Altro aspetto ricorrente è la profonda riflessione dei protagonisti sulle proprie origini e sulla propria identità, spesso divisa fra due culture diverse, quella della società in cui vivono e quella della cultura d’origine. Una riflessione, in molti casi, tutt’altro che indolore. Se da un lato sono difatti cittadini a pieno titolo della società in cui vivono e nella quale sono cresciuti o nati, il loro diverso background socioculturale fa sì che tale appartenenza non sia totale. Si tratta di individui alla costante ricerca della propria identità, ma che non riescono approdare ad una soluzione e per i quali, paradossalmente, è molto più semplice definire ciò che nonsono rispetto a ciò che sono. Tuttavia proprio questa condizione di estraneità e di marginalità fa sì che si instauri una sorta di senso di appartenenza comune fra individui in diverse parti del mondo che condividono tale condizione. E la periferia, per il suo carattere multiculturale e per la presenza di persone dal vissuto simile, è il luogo al quale possono sentirsi più affini. Si potrebbe affermare che la condizione nella quale si trovano è quella di confine fra due mondi diversi, una sorta di “terzo spazio”, prendendo in prestito un concetto caro al filosofo indiano Homi Bhabha; un ambito che ha aspetti in comune con entrambe le culture ma che, nonostante ciò, è diverso. Ogni cultura si trova in un continuo stato di mutamento e questo terzo spazio non è altro che il risultato di tale fenomeno di ibridazione.( 5)

Il concetto di letteratura delle periferie nasce come alternativa ad altri termini in uso quando si prendono in considerazione le forme letterarie nate dall’incontro e dall’ibridazione di più culture, opere di scrittori con un background multiculturale o appartenenti a una cultura altra rispetto a quella in cui vivono. Questi testi sono il prodotto della sedimentazione di tali fenomeni migratori che, con gli anni, hanno reso la società occidentale sempre più multietnica e multiculturale. Si tratta di voci che provengono dall’interno della società e non più, come i loro predecessori, dal di fuori di essa. In molti casi, inoltre, esistono differenze di carattere biografico, visto che, a differenza dei loro predecessori con alle spalle un passato di immigrazione, questi scrittori sono spesso nati nel paese in cui vivono e scrivono nella loro lingua madre. Come si possono considerare scrittori dell’immigrazione se essi non sono affatto immigrati? Ingeborg Kongslien afferma a questo proposito che i loro testi sono scritti nella lingua del paese, quella che, nonostante il bilinguismo dovuto alla condizione di appartenenza a più culture, è la loro “prima” lingua.( 6)Esistono inoltre divergenze di contenuto; a differenza dei testi ascritti alla cosiddetta letteratura dell’immigrazione, queste opere non sono il resoconto dell’esperienza individuale di adattamento alla nuova società, con i problemi che ciò può comportare o il dolore di aver abbandonato un paese e una cultura alla quale si anela, prima o poi, tornare. Sono tanti i testi che possono essere portati a testimonianza di tale recente fenomeno letterario. Come affermato in precedenza, Francia e Inghilterra sono stati, per il loro passato di potenze coloniali, i primi paesi del Vecchio Continente ad assistere all’arrivo di immigrati e non stupisce che proprio in questi paesi esista un numero elevato di tali opere già a partire dagli anni ´80. Le gone du Chaâba di Azouz Begag, pubblicato nel 1986, uno dei primi esempi e ormai considerato un classico del genere, le opere di Mehdi Charef (Le Thé au harem d'Archi Ahmed, 1983) o, più di recente, quelle di Faiza Guènes (Kif kif demain, 2005), sono soltanto alcuni degli scritti provenienti dalla letteratura francofona. All’interno della produzione letteraria inglese si possono invece ricordare The Buddha of Suburbia di Hanif Kureishi, pubblicato nel 1986, White Teeth di Zadie Smith del 2000 o il più recente Londonstani, pubblicato nel 2006, di Gautam Malkani, tutti tradotti in italiano. Dal momento che anche il nord Europa è caratterizzato da un alto tasso di immigrazione, non stupisce il fatto che anche in questi paesi si sia assistito negli ultimi anni al fiorire di simili forme letterarie. Till vår ära (2001) di Alejandro Leiva Wenger, Ett öga rött (2003) di Jonas Hassen Khemiri e Kalla det vad fan du vill (2005) di Marjaneh Bakthiari in Svezia o Pakkis! (1986) di Khalid Hussain in Norvegia, sono soltanto alcuni dei testi più noti. I fattori che accomunano tali opere sono tanti. Questi romanzi, innanzitutto, sono il prodotto della cosiddetta società multiculturale, nascono dal vissuto comune in un ambiente caratterizzato da una molteplicità di etnie e culture. Non deve quindi stupire il ruolo centrale di questa realtà ibrida e basta dare un’occhiata ai nomi dei giovani protagonisti per accorgersi di tale diversità: Karim, Sajjad, Azouz, Felipe. Non sorprende, inoltre, che siano numerose anche le religioni delle quali si legge in questi testi e che convivono l’una di fianco all’altra, così come diverse rispetto alla società circostante sono le abitudini culturali ereditate dalla realtà famigliare. La famiglia rappresenta difatti una sorta di microcosmo legato alla cultura di origine in cui vigono abitudini altre rispetto a quelle della realtà esterna, non ultime quelle alimentari. Attraverso il cibo questi scrittori sottolineano la realtà multiculturale e la condizione di doppia appartenenza culturale nella quale si trovano i giovani protagonisti dei loro romanzi. Ma le affinità non si limitano all’aspetto contenutistico, dal momento che si può riscontrare anche una sorta di comunanza linguistica tra le opere in questione. Sebbene si tratti di testi che si concentrano su realtà economicamente e culturalmente marginali e nonostante i protagonisti siano in molti casi giovani dal modesto livello culturale, sarebbe errato affermare che i romanzi siano poveri dal punto di vista stilistico. Al contrario, la lingua è uno degli strumenti che rende maggiormente espliciti gli sforzi dei giovani protagonisti in cerca di una propria identità per esprimere in forma narrativa la condizione di doppia appartenenza a culture e anche, in molti casi, a lingue diverse. Una delle risorse più ricorrenti è l’utilizzo dello slang parlato dai giovani che vivono in contesti marginali, uno strumento che, al pari di un certo tipo di abbigliamento e di musica, rappresenta un segno di identificazione per sottolineare l’appartenenza a un determinato gruppo sociale. Utilizzando questo codice, inoltre, si mira anche ad escludere tutti coloro che non fanno parte dello stesso gruppo, in questo caso il mondo delle periferie, dove il senso di alienazione è evidente anche dal punto di vista linguistico. Non sorprende in questo senso l’uso ricorrente di parole di lingua straniera che ricorda l’appartenenza anche all’altra cultura, quella ereditata da uno o entrambi i genitori. Molto ricorrenti sono anche le parole di lingua inglese, la lingua della globalizzazione per eccellenza e con la quale ci si può liberare dei legami con la società in cui si vive rivendicandone altri con una più vasta, senza confini nazionali, che accomuna individui dalla stessa condizione di alterità a prescindere dal paese in cui vivono. Oltre ai temi già citati in precedenza può essere interessante far presente che anche la musica, al pari di altri codici socioculturali vigenti nel mondo giovanile, svolge un ruolo chiave al momento di sottolineare l’appartenenza ad un certo gruppo. In particolare è l’hip hop che emerge come elemento caratterizzante, quasi fosse un modo di rivendicare il proprio inserimento in una realtà più vasta, dai confini extranazionali e che può essere definita la nazione hip hop, quella cioè nata nei ghetti delle città statunitensi e originariamente usata per esprimere il malessere e la rivolta contro le condizioni di vita in luoghi marginali.

Per tutti gli aspetti sopra citati si può parlare quindi di una sorta di identità extranazionale che accomuna tali forme letterarie che non possono essere delimitate dai confini geografici e culturali di una nazione, ma che sono unite da una condizione comune propria della vita in ambienti culturalmente e geograficamente periferici, quella cioè di una comune estraneità e alterità nei confronti di una cultura centrale. E la letteratura delle periferie è l’espressione di tale condizione.

(1) Pascale Casanova, La République mondiale des lettres (Paris 1993), p. 171: “Depuis 1981, par exemple, le Booker Prize, le prix littéraire le plus célèbre de Grande-Bretagne, a été décerné à plusieurs reprises à des ‘pas tout à fait’, selon l’expression de l’écrivain indien Bharati Mukherjee, à des écrivains issus de l’immigration, de l’exil, ou de la post-colonisation.Les Enfants de minuit de Salman Rushdie a été couronné le premier en 81; puis le prix est allé à Keri Hulme, d’origine maorie (pour The Bone People), à Ben Okri, écrivain nigérian, à Michael Ondaatje, d’origine sri-lankaise, à Kazuo Ishiguro, d’origine japonaise”.

(2) Michel Le Bris, “Pour une littérature-monde en français”, in Pour une littérature-monde, (red.) Michel Le Bris e Jean Rouaud (Paris 2007), p. 33: “c’était bien la première fois qu’une génération d’écrivains issus de l’immigration, au lieu de se couler dans sa culture d’adoption, entendait faire œuvre à partir du constat de son identité plurielle, dans le territoire ambigu et mouvant de ce frottement”.

(3) Ingeborg Kongslien, “Migrant or multicultural literature in the Nordic Countries”, http://www.eurozine.com/articles/2006-08-03-kongslien-en.html.

(4) Michel Foucault, Dits et écrits II, 1976-1988 (Paris 2001), p.1575: “des lieux réels, des lieux effectifs, des lieux qui sont dessinés dans l’institution même de la société, et qui sont des sortes de contre-emplacements, sortes d’utopies effectivement réalisées dans lesquelles les emplacements réels que l’on peut trouver à l’intérieur de la culture sont à la fois représentés, contestés et inversés, des sortes de lieux qui sont hors de tous les lieux, bien que pourtant ils soient effectivement localisables. Ces lieux, parce qu’ils sont absolument autres que tous les emplacements qu’il reflètent et dont ils parlent, je les appellerai, par opposition aux utopies, les hétérotopies”.

(5) Jonathan Rutherford, “The Third Space. Interview with Homi Bhabha” in Identity. Community, Culture, Difference, (red.( Jonathan Rutherford (London 1990), p. 211.

(6) Ingeborg Kongslien, op.cit.: “written in the language of the country of immigration; these writers have either acquired a new literary language as adults, or, as members of the second generation, their ‚first’ language is that of the respective Scandinavian country. „

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Anno 5, Numero 21
September 2008

 

 

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