El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Nota biografica | Versione lettura |

rapsodie di primavera: il mondo arabo svolta pagina

farid adly

“Thuwwar”, il termine con il quale vengono chiamati i combattenti per la libertà libici, è un neologismo che è entrato in molte lingue dall'arabo. E' un plurale irregolare di rivoluzionario. E' stato scelto per distinguerli dai famigerati Comitati Rivoluzionari di gheddafiana memoria. La differenza tra la Libia di oggi (e di domani) da quella degli ultimi 42 anni passa anche dalle scelte lessicali.

Queste Primavere arabe hanno fatto esplodere delle creatività inaspettate. Le si coglie anche dalle canzoni e slogans ritmati nelle grandi manifestazioni milionarie (per il numero di persone che vi partecipavano): Hanno cominciato i tunisini per aver ripescato la poesia anticoloniale di Abu lqassim Asshabbi, “Idha Assaabu”, una sorte di “Il Pueblo Unido” d'annata. (vedi, in Italiano,Abu l-Qasim ash-Shabbi, I Canti della Vita, Di Girolamo, 2008, pp. 251, € 20,00 - A cura di Salvatore Mugno). Alla storia, i tunisini hanno affiancato la contaminazione con le sonorità d'occidente del rapper El General.

La grande nazione egiziana, madre della rinascita culturale araba, non è stata di meno. L'humor del popolo egiziano è notissimo e piazza Tahrir è stata un luogo esemplare di questa vena satirica e ironica. Una profondità della cultura popolare che i giovani musicisti hanno tradotto in canzoni spontanee, nate accostando slogans, come quella di Hani Adel e Amir Eid, “La voce della Libertà”
( http://www.youtube.com/watch?v=Fgw_zfLLvh8&feature=player_embedded#!)

Più drammatica la vicenda siriana. Il cantante Ibrahim Qashosh ha pagato con la vita la canzone “Via Bashar!”, che era diventata lo jingle delle manifestazioni in tutto il paese. E' stato trovato sgozzato, la gola tagliata come minaccia per chiunque si azzardi a trasformare in versi e musica il rifiuto della dittatura. Di questa dimensione fascista del nazionalismo baathista in Siria è opportuno mettere sotto riflettori la vicenda del vignettista Alì Ferzat. Un gruppo di picchiatori lo ha aggredito nel suo studio e lo ha bestialmente bastonato sulle dita, una lezione esemplare per chi si è permesso di ironizzare sul piccolo dittatore Bashar Assad (www.ali-ferzat.com)

Anche il mio paese, Libia, non è rimasto a guardare. L'esperienza libica è stata più drammatica rispetto alle altre due precedenti, Tunisia e Egitto, anche se le macchine della repressione in Siria e Yemen non sono di certo uno scherzo. Il jingle della rivoluzione libica è stata una canzone scritta in carcere da un giovane medico che ha vissuto nelle carceri di Gheddafi per ben 7 anni, dott. Adel Mashity. Si intitola: “Rimarremo qui”. Una profezia ed un'iniezione di ottimismo intriso di una melodia triste che ha spronato migliaia di giovani a scendere in piazza prima ed a imbracciare il mitra poi per cacciare il dittatore. ( http://aabdullahh.wordpress.com/2011/05/23/%D8%B3%D9%88%D9%81-%D9%86%D8%A8%D9%82%D9%89-%D9%87%D9%86%D8%A7/)

Queste che seguiranno sono alcune testimonianze in diretta della liberazione di Tripoli, la capitale libica, il 20 Agosto 2011, in pieno Ramadan, mese del digiuno islamico.

Mia nipote Hala quando ha sollevato la cornetta del telefono ha fatto partire una lunga zagrouda, l'ululato di gioia caratteristico delle donne arabe. Ventotto anni, nata negli stati uniti e cresciuta in Italia, a Milano, ingegnera, “madre di famiglia per amore e casalinga per forza”, dice lei, “a causa di un sistema corrotto che non fa lavorare i giovani libici onesti”. E' felice, e si sente dal timbro della voce. “La tirannia è finita. Stamattina con mio figlioletto in braccio sono andata in Piazza Martiri a festeggiare, a toccare con mano questa nostra rivoluzione, a vedere in faccia i ragazzi che leggevo in Internet”. Per le strade si vedevano abbandonate sull'asfalto le uniformi mimetiche dei miliziani e le bandiere verdi. “Sono scappati in mutande”, il commento ridanciano di Hala. “I ragazzi cantavano canzoni dolci, dai ritmi rap, ma con i mitra in braccio. Gridavano slogan: ‘Il sangue dei martiri non andrà perso invano’ ”. La città non l'ho vista mai gioiosa come oggi, malgrado il sangue innocente versato . E' il prezzo della libertà. Un clima di liberazione da un incubo. C'erano non poche donne, ragazze per lo più, che correvano con la bandiera tricolore rossa-verde-nera”.

Abdel Aziz guerrigliero improvvisato, originario della città-martire Zawia, fratello di un ingegnere che ha studiato in Italia e che, ricercato dalle milizie Gheddafi, è riparato in Tunisia via Montagna Occidentale: “siamo arrivati in tantissimi dalle montagne, dalle città limitrofe e lontane; ci sono addirittura volontari da Derna e Tobruk, immagina. Siamo tantissimi. Le Brigate non torneranno più. Stiamo assediando il bunker. Non ci sfuggirà il tiranno. In mattinata, alcuni ragazzi hanno catturato una delle sue guardie personali che tentava di scappare. Lo stanno interrogando per capire dov'è nascosto il ‘grande imbroglione’... E' sicuramente nella sua fortezza e lo acchiapperemo, questo Shafshoufa (uomo dai capelli ricci e folti, come lo era il look preferito del colonnello)”

Nesreen, ventenne universitaria, su Fb:
“Noi giovani libici, siamo il futuro per la nostra terra. Non siamo Ribelli ne insorti, siamo FF, Freedom Figters (combatentti per la Libertà). Gheddafi è un assassino e doveva andare via subito per evitare tutto questo sangue, ma non voleva mollare il potere e le ricchezze ..Grazie al Dio, prima di tutto e anche alla fine siamo musulmani devoti e non dimentichiamo chi ci ha dato una mano. ..grazie alla Nato, alla Francia e al Qatar che sono state vicine, festeggiamo e festeggiamo per sempre di questa NOSTRA VITTORIA..Sono fiera di essere LIBICA LIBERA”.

“A mezzogiorno, dice Rima Jibril, ex poliziotta, c'è stato uno scambio di artiglieria nei pressi della sede della TV, la guarnigione militare lealista è guidata da Alì Kilany, noto per essere un sanguinario senza pietà. Non so come finirà, Allah voglia che non torni il brutto passato. Noi poliziotti siamo stati richiamati in funzione. Siamo tutti a disposizione dei giovani rivoluzionari perché la sicurezza è del popolo. Questi giovani sono educati e colti. Non c'è stata nessuna diffidenza nei nostri confronti. Io sono in servizio all'ospedale e continuo a garantire il mio lavoro”. La sede della radio televisione di stato poi è stata conquistata dai guerriglieri con molte perdite. Alcuni giornalisti sono stati arrestati, ma poi rimessi in libertà e reintegrati nel loro lavoro. Un caso esemplare è stato quello di Hala Misrati, la presentatrice televisiva con la pistola. “I ratti non passeranno!”, diceva alla Tv di Stato. Appena caduta nelle mani dei Thuwwar, si è dissociata e pentita: “Maledetto sia il tiranno! W i rivoluzionari del 17 Febbraio!”. Un trasformismo esemplare che è diventato una battuta sulle bocche di grandi e piccini.

Poco dopo l'una, 900 prigionieri politici sono stati liberati dal carcere di Ein Zara. Omar Dawwali, papà di un prigioniero è raggiante. “A casa abbiamo fatto una festa. C'è molta gente qua attorno a me che mi stanno facendo gli auguri. Per la nostra famiglia è una doppia festa: la liberazione di Faraj, mio figlio, e della mia Libia. Mio figlio non ha mai fatto nulla di male. Studiava e forse non stava zitto di fronte alle cose storte che vedeva. Qualcuno ha spifferato agli uomini del Mukhabarat, quelli che noi chiamiamo le antenne, le sue critiche e un giorno all'alba hanno fatto irruzione a casa nostra. Cercavano documenti, ma hanno trovato soltanto libri, casse di libri. Hanno portato via mio figlio per un semplice interrogatorio, hanno detto. E' rimasto dentro 7 anni, senza processo. Oggi, anch'io, alla mia età, mi sento rivoluzionario”.

Akram Trabulsi, su fb:
“ma questi islamisti cosa vogliono? Chiedono sulle TV arabe di cambiare il nome di via Giamal Abdel Nasser a Tripoli. Vogliono una sfida con noi nazionalisti? I nostri giovani rivoluzionari sono molto più saggi: hanno cambiato piazza Verdi in Piazza dei Martiri. Questa sì che è una cosa giusta e saggia. Cancella i simboli del regime... Dobbiamo trovare le mosse che includono e uniscono, non quelle che escludono e dividono. I Fratelli Musulmani sono pericolosi. Fino a qualche mese prima del 17 febbraio hanno tramato con Seif Islam”. Le contraddizioni della democrazia. Ma dopo 42 anni di pensiero unico, ben venga il confronto anche aspro.

Bushra Marwan, giornalista, “Ho visto con i miei occhi all'ospedale di Tajoura, che ospita tutti i feriti senza distinzione, armati delle brigate sparare. La situazione sanitaria è difficile. Molti feriti sono in gravi condizioni e la struttura non può far fronte alle emergenze. Sul nostro sito facciamo appello alla gente per donare sangue. Ci sono file di volontari che malgrado il Ramadan dimostrano la loro generosità. Sono felice, non mi sono mai sentita libera come oggi. Posso scrivere tutto quello che penso e critico le cose storte, senza dover subire ritorsioni o piazzate dal capo. Vorrei vedere cosa succederà ai giornalisti venduti del regime, a Hala Misrati e Shakeer, che ne hanno detto di tutti i colori contro i giovani della rivoluzione. Davanti a noi ci saranno giorni difficili, perché è giusto non ricorrere alla vendetta, ma come comportarsi con i corrotti e con i megafoni del vecchio regime?”.

Una domanda che si pone di fronte a tutti i movimenti che si battono per il cambiamento, in ogni dove e non soltanto nel panorama arabo. C'è molto da riflettere, perché la rivoluzione non è una passeggiata, ma può diventare una cavalcata attraverso il Sahar alla ricerca di un'oasi. La nostra Itaca.

Inizio pagina

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Anno 8, Numero 33
September 2011

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links