El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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pap khouma

Cari lettori,

quando giunge la fine dell’anno siamo tentati di fare un inventario sommario, per riflettere su certi eventi accaduti nel corso degli ultimi mesi. Proveremo a ricordarne alcuni che secondo noi potrebbero essere significativi. Jean Paul Sartre, già citato su questa pagina, chiedeva: “Cosa serve un libro di fronte a un bambino che ha fame?”. Noi potremo essere tentati di chiedere: “Cosa servono i racconti o le poesie che pubblichiamo di fronte a tanti bambini e adulti che hanno fame, non hanno terra, né cittadinanza, né pace, né libertà?”.

Crisi economica e sociale

L’anno 2013 non ha portato via la crisi economica globale iniziata negli Usa, nel 2006, quando era scoppiata la bolla finanziaria dei subprime. Ancora oggi, nonostante i proclami di ministri delle finanze o di fattucchieri dell’economia globale, disoccupazione e povertà sono in grave incremento nei paesi occidentali che, fino a quel momento, erano considerati ricchi, stabili, democratici e consideravano se stessi indispensabili modelli di virtuosità per il resto del mondo, specialmente per i paesi africani e sudamericani.
Mentre Nelson Mandela dichiarava nel 2005 a Johannesburg: “Sconfiggere la povertà non rappresenta di per se stesso un gesto caritatevole. E’ un atto di giustizia, a salvaguardia di un fondamentale diritto umano, quello alla dignità e a una vita decorosa”, banche e istituti finanziari statunitensi e/o europei accecati da cinico egoismo e da sfrenata ingordigia scavavano festosamente le loro fosse.

Negli anni che precedevano la crisi finanziaria, denunciavamo il fatto che circa l’ottanta per cento (80%) della ricchezza universale era concentrato tra le mani dell'Europa occidentale, degli Usa, del Giappone. Il 20% che rimaneva era ripartito, sempre in maniera diseguale, tra i più numerosi e ancora più popolosi vicini di casa, i “paesi del sud”, India e Cina incluse.
In Africa si dice che quando la capanna del vicino brucia bisogna accorrere in fretta coi secchi d’acqua e tutto ciò che serve per spegnere l’incendio, se non altro per evitare che il fuoco si stenda nella propria capanna e dopo prenda e distrugga tutte le capanne del villaggio.
Nel “sud” del mondo, troppe persone morivano di fame, di malattie non tanto difficili da curare, quando nel “nord”, un manipolo di "esperti" della finanza aveva tutta la libertà di giocare coi fiammiferi. L’incendio scoppiato nel paese più potente della terra (Usa), si è propagato a livello globale. Oggi, possiamo solo osservare con impotenza le troppe capanne ridotte in cenere nei paesi del ricco “nord del mondo”. L’incendio ha rallentato, en passant, ma per fortuna non ha fermato le performance economiche che “i paesi del sud” stavano finalmente realizzando. Sembra che un’inversione di tendenza stia lentamente scattando tra “nord” e “sud” del mondo.
Ecco alcune previsioni di crescita del Pil in alcuni paesi del mondo nel 2014 *

Asia (senza Giappone): 5,7%
- Giappone: 1,7%
- Africa Subsahriana: 5,2%
- Africa del Nord e Medio Oriente: 4%
- America Latina: 3,3%
- America del Nord: 2,5%
- Europa dell’Est: 3%
- Europa Occidentale: 1,1%

*Jeune Afrique n°2761 del 08 dicembre 2013

Lampedusa 3 ottobre 2013

Lampedusa, questa piccola isola del Mediterraneo sembra facilmente raggiungibile agli occhi dei migranti, perché geograficamente è più vicina all’Africa (in crescita economica) ma martoriata da tante guerre civili e iniquità politiche, ed è parte integrante dell’Europa che i disperati in cerca d’approdo considerano terra di abbondanza e di libertà.
Il 3 ottobre 2013, attraverso le immagini diffuse da tutte le televisioni, siamo diventati testimoni del naufragio di centinaia di bambini, donne e uomini africani al largo di Lampedusa. E’ soltanto uno dei tanti naufraghi, da quando l’Europa sta alzando progressivamente le fortezze ai suoi confini del sud. E’ impossibile fare la conta esatta dei morti di questi ultimi 15 anni ma sembra che circa 20.000 esseri umani giacciano nei fondali delle acque del mare di Sicilia. Sono cifre spaventose. Sono cadaveri di migranti africani, sono anche di tanti morti asiatici. Nei prossimi mesi assisteremo ad altri drammi e altri morti nel Mediterraneo.
Le istituzioni italiane e europee sono colpevoli di egocentrismo criminale e di inenarrabili contraddizioni. La legge Bossi-Fini ha introdotto delle norme che potrebbero condannare gli equipaggi di pescherecci del Mediterraneo per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le sanzioni scattano quando prestano soccorso agli immigrati sui barconi alla deriva e dopo, per salvare loro la vita, trasportano questi disperati fino a un porto italiano. Esistono parallelamente delle norme italiane che prevedono condanne per l’omissione di soccorso a persone in pericolo.
C’è stato un circo mediatico e politico attorno a questo dramma. I 366 morti del 3 ottobre sono stati definiti all’unanimità non più dei clandestini ma profughi e addirittura degli eroi. Hanno ricevuto dei funerali di stato. Per contro le persone che sono sopravvissute dallo stesso dramma del 3 ottobre sono state indagate dalla magistratura italiana per il reato di immigrazione clandestina e la maggior parte rinchiusa nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), carceri destinate a dei non delinquenti. Tutti sono concordi nell’affermare che sono dei profughi. Proprio in queste ultime ore si viene a conoscere che il trattamento di questi richiedenti asilo è molto simile a quello che si riservava nei campi di concentramento nazisti. Manca solo la camera a gas. Andate a vedere i filmati su internet.
E’ impossibile fermare i flussi migratori, chiediamolo agli stormi di eleganti aironi che ogni anno lasciano le foreste della fredda Europa per andare a svernare nelle regioni più temperate dell’Africa. Si chiamano uccelli migratori. Ci risponderanno: “Abbiamo compreso come migliorare la nostra esistenza”. Intere colonie di coppie di pensionati europei vivono più o meno stabilmente nei paesi africani dove pensioni che qui sono magre, diventano grasse là dove il costo della vita è più bassa. Se emigrazione, come risponderebbero gli stormi di aironi, significa prima di tutto migliorare la propria qualità di vita, essere tutelati, questi europei sono pensionati migratori, anche se definiscono se stessi degli expatriés, cioè gente che ha “scelto”, ha il “privilegio” di lasciare la propria patria.

Ci sono flussi migratori umani e animali verso paesi ricchi o poveri, ci sono emigrazioni di popolazioni dai paesi in guerra o che vivono in pace. Certo, la qualità potrebbe essere tra chi è costretto a scappare e tra chi crede di aver scelto liberamente di andarsene via. Ogni anno, tanti giovani e meno giovani lasciano l’Italia in crisi economica e sociale per andare a costruirsi un futuro altrove. Nell’immaginario comune, questo altrove contemporaneo degli italiani, dei portoghesi, dei greci, degli spagnoli viene facilmente situato in Germania, in Inghilterra, negli Usa, in Australia e forse in Brasile. L’altrove felice, cari lettori, è situato anche in Africa. Nel Senegal depresso e senza risorse significative sono emigrati circa cinquantamila italiani. Gli emigrati, pardon expatriés, francesi sono ancora più numerosi. Non mancano le altre nazionalità occidentali. Nell’Angola ricco di petrolio e di diamanti vivono centomila portoghesi. E’ un numero tre volte maggiore a quello dei cittadini angolani residenti in Portogallo. Francesi, spagnoli, portoghesi emigrano nel vicino Maghreb. Sono cifre in progressione. Fanno anche lavori umili, cercano di integrarsi, si sposano coi locali, fanno figli, pretendono giustamente diritti e rispetto della loro dignità.

A volte, succedono anche a loro delle disavventure. Qualche esempio:
Giovani spagnoli emigrano in Algeria sperando di trovare lavoro nella regione di Orano dove si sono insediate numerose fabbriche spagnole. Il sito Journalites Citoyens Algerie del 31 maggio 2012, riporta la notizia pubblicata sul quotidiano algerino Liberté (nella sua edizione del 12 aprile 2012) dell’arresto, eseguito dagli elementi della guardia costiera di Algeri, di quattro immigrati spagnoli clandestini. I quattro sono stati espulsi verso Madrid. Il ministro spagnolo degli esteri indignato per queste espulsioni, ha protestato energicamente contro il suo omologo algerino.
Nel luglio 2011 quarantadue portoghesi che lavoravano in nero sono stati espulsi dall’Angola.
Il 2 febbraio 2012, venti portoghesi sono stati fermati all’aeroporto di Luanda, capitale dell’Angola ed espulsi verso Lisbona. Secondo le autorità angolani i venti portoghesi erano in possesso di falsi visti.

Per quando riguarda l’Italia, il senatore italiano Luigi Manconi e la sociologa Valentina Brinis scrivono “Accogliamoli tutti” (Il Saggiatore – 2013): “Accogliere tutti. E’ questa l’unica politica efficace in materia d’immigrazione. E’ la soluzione più utile e produttiva per gli immigrati, ma soprattutto per gli italiani… Le politiche di respingimento e della repressione, dietro cui si cela spesso un’ostilità intrisa di xenofobia e di tentato razzismo, sono disastrose perché contrarie alle esigenze profonde dell’economia e della società… Riconoscere diritti e offrire occasioni di inserimento agli immigrati è invece la scelta più opportuna per la sicurezza collettiva, per risolvere i drammatici problemi demografici e rilanciare industria e agricoltura…”

L’Italia stenta a compiere la scelta che sembra dolorosa ma che è necessaria perché porta verso la vera accoglienza, il rispetto alla dignità e ai diritti dei bambini: lo ius soli! Ultimamente partiti di sinistra e partiti più rappresentativi della destra sono unanimi a parole per un'approvazione dello ius soli. Ci sono state tante dichiarazioni d’intenti ma durano il tempo che trovano. La nostra rivista ritornerà sempre sull’argomento, promuoverà e parteciperà a iniziative a favore del diritto di cittadinanza fin quando verrà negato ai figli degli immigrati nati o cresciuti qui.

Neppure i governi dell’Africa, per essere preciso, i paesi del Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea, Somalia, Sudan) da cui scappa la maggior parte dei naufragati nel mare di Sicilia, paradossalmente vengono messi di fronte alle proprie responsabilità. Questi costringono la parte più giovane delle loro popolazioni a fuggire da miseria, mancanza di libertà, corruzione, lotte armate. Loro, i principali colpevoli, vengono accolti e riveriti (eccetto quello del Sudan del nord) dai capi di governi europei. Questi capi di governi africani erano presenti ai recenti funerali dell’uomo che ha messo in pericolo la propria vita e la propria libertà per difendere quelle degli altri: Nelson Rolihlahla Mandela (Sudafrica 18 luglio 1918 - 5 dicembre 2013).
“Io tengo molto alla mia libertà, ma mi importa ancor più della vostra”, aveva scritto Madiba per rifiutare la libertà condizionata che il governo dell’apartheid gli offriva dopo i primi 20 anni passati in carcere.

Nelson Rolihlahla Mandela ha pagato per la sua lotta a favore della cittadinanza per tutto il popolo sudafricano, senza distinzione di colore della pelle o di inclinazioni sessuali. Mandela se ne è andato, il suo pensiero rimarrà radicato.

Anche dietro al grandissimo uomo Nelson Mandela, c’era una grande donna Winnie Madikizela Mandela, la sua seconda moglie e madre delle sue due figlie. Madida indirizzava spesso a lei le uniche due lettere che aveva l’autorizzazione di scrivere quando era incarcerato a Robben Island e successivamente quando fu trasferito nel carcere di Pollsmoor.
Winnie Madikizela Mandela faceva eco alla voce del prigioniero Madiba. In questo modo il mondo poteva sentire il tono di quella voce silente imprigionata per 27 anni dietro quattro muri, prima su un’isola al largo. Lei, giovane vedova bianca e madre di due bambine, ha sacrificato i momenti più importanti della sua vita. Fu accusata di essere una terrorista, di nascondere delle armi. La sua casa nel ghetto di Soweto veniva messa a soqquadro in qualsiasi momento dagli sgherri dell’efficientissima polizia dell’apartheid. L’accusa più grave per cui questa donna venne arrestata o mandata al confino lontano da Soweto e separata dalle sue bambine, era che non la smetteva di combattere (disarmata) l’apartheid, un sistema politico basato sulle discriminazioni razziali. Come per suo marito e per la maggioranza del popolo sudafricano e penso per ogni individuo nero o bianco o giallo ma sano di mente, Winnie rifiutava soltanto di vivere in una società - africana per di più - dove gli appartenenti alla minoranza bianca rappresentavano istituzionalmente la razza superiore e si prendevano tutti i possibili privilegi e i membri della maggioranza nera erano la razza inferiore, vivevano confinati in squallidi ghetti, incarcerati o uccisi se osavano alzare troppo la testa.

Winnie Mandela ha avuto un ruolo fondamentale nella sconfitta dell’apartheid. Dopo, per ragione di stato, è stata considerata personaggio troppo scomodo per la realizzazione del Sudafrica “multirazziale” e persino come moglie. La sua emarginazione politica è dovuta in parte alla sua intransigenza, alle sue posizioni e dichiarazioni radicali nei confronti degli ex fautori bianchi dell’apartheid. Lei non voleva perdonare, ha disapprovato la Commissione Verità e Riconciliazione. Il suo entourage fu accusato di avere ucciso qualche infiltrato della polizia ai tempi delle angherie dell’apartheid. Saltarono fuori allusioni attinenti alle sue relazioni intime quando il marito e futuro presidente della nuova Sudafrica era in carcere. Nelson Mandela divorziò da lei. Fuori dai confini della sua terra, Winnie rimane una delle donne più amate in Africa.

***

In questo numero ospitiamo la poesia omaggio alla mia terra di Antonietta Langiu come gesto di solidarietà per i disastri ambientali accaduti in Sardegna ultimamente.

Si ringraziano i collaboratori scrittori del presente numero per la sezione “racconti e poesie” Claudileia Lemes Dias, Arben Dedja, Stefanie Golish, Julio Monteiro Martins, Abdelmalek Smari, Anna Belozorovitch; per la sezione “stanza degli ospiti” Monica Dini, Laura Fusco, Clementina Coppini, Serena Donigaglia Digiacomo, Stefanie Golish, Giuseppe Natale, Antonietta Langiu; per la sezione “parole dal mondo” Krzysztof t. Dabrowski, Ankur Betageri, Bruce Hunter, Tahar Djaout; per la sezione “generazione che sale” Paola Gorgatelli; per la sezione interventi Božidar Stanisic, Francesca Medaglia, Serena Guarini, Giulia Da Lio, Diana Osti, Angela Caputo, Daniela Finocchi; per il supplemento Raffaele Taddeo.

Il prossimo numero che uscirà nel mese di marzo 2014, la nostra rivista si presenterà con una nuova veste grafica. Ci dispiace mutarla perché siamo molto affezionati a quella attuale per la sua eleganza e praticità, opera di Alberto Maurizi. L’evoluzione informatica ci costringe ad adeguarci.

Cari lettori, il comitato editoriale di el-ghibli vi ringrazia ancora per la vostra fedeltà.

Tanti auguri di buon anno!

Pap Khouma

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Anno 10, Numero 42
December 2013

 

 

 

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