Il manuale per imparare "Come diventare italiani in 24 ore. Il diario di un'aspirante italiana" di Laila Wadia
Sulla scia delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, il nuovo libro di Laila Wadia, scrittrice italiana di origine indiana, si rivela uno strumento divertente e ironico per riflettere su quanto sia attuale il concetto di italianità. L'ironia della scrittura è chiara sin dal titolo del volume, pubblicato da Barbera editore nel 2010: Come diventare italiani in 24 ore. Il diario di un'aspirante italiana. Mentre l'anniversario dell'Unità d'Italia è tema di discussione e di nuova narrazione storica da parte di numerosi intellettuali, il piccolo libro di Laila Wadia tenta un esperimento insolito, moderno e innovativo poiché la scrittrice mostra l'Italia e gli italiani attraverso gli occhi del diverso, dell'altro, dello straniero.
La trama ricalca in parte l'autobiografia dell'autrice: è il diario di una giovane indiana che, contro i desideri della famiglia, decide di compiere i propri studi universitari in Italia. La ragazza giunge nel Belpaese piena di stereotipi e stupide convinzioni: "Arrivai a Roma all'età di ventun'anni con una valigia piena di vestiti fuori moda e due certezze: che mi avrebbero rubato il portafoglio e pizzicato il sedere"[1]. Ovviamente non le accade nulla di tutto ciò.
Il diario di Laila Wadia è fresco e divertente. Ruota attorno a una domanda molto diretta: italiani si nasce o si diventa? Quesito che trascina ulteriori interrogativi: come sono visti gli italiani dagli stranieri? E soprattutto come si possono apprendere nel minor tempo possibile (le surreali 24 ore del titolo) tutti i comportamenti, i vizi e le virtù degli italiani? La scrittrice risponde con l'invenzione di un fantasioso QI, ovvero un Quoziente di Italianità che deve essere raggiunto per capire al meglio le abitudini degli italiani ma che lei puntualmente non riesce a soddisfare. L'Italia diventa quindi per la giovane indiana, nonché aspirante italiana, un paese d'adozione dal quale occorre imparare tutto: dalla cultura alle più minute abitudini degli abitanti. Uno sforzo notevole perché, pur volendosi sentire italiana a tutti i costi, la protagonista comprende ben presto che l'Italia è un paese pieno di contraddizioni, con profonde differenze fra Nord e Sud, fra regione e regione, fra città e città. Commentando la celebre frase attribuita a Massimo D'Azeglio "Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani", si chiede con ansia: "Ma, quasi centocinquant'anni dopo, cosa devo prendere come modello? E' palese che l'italianità può avere mille sfumature geografiche, culturali, sociali, economiche, linguistiche, gastronomiche…" [2]. Il suo diario registra il turbamento di fronte al campanilismo italiano: "Quelli di Venezia sostengono di essere diversi da quelli di Mestre, gli abitanti di Mira dicono di esserlo rispetto ai mestrini, e coloro che abitano la frazione nord di Mira giurano che quelli di Mira sud sono di tutt'altra razza" [3]. E il lato sorprendente del libro è proprio la ricerca, attraverso i vizi degli italiani e le piccole abitudini cui ancora oggi non sanno rinunciare, della vera essenza dell'italianità fatta di amori e contraddizioni. Solitamente una rassegna di stereotipi sullo stile di vita degli italiani accompagna l'immaginario comune di chi viene dall'estero: l'importanza e il ruolo della famiglia, l'amore per il cibo e il culto della tavola, il fascino irresistibile dell'uomo italiano cui nemmeno la protagonista sa resistere.
L'Italia che emerge da questo percorso di vita è un paese che ancora stenta ad aprirsi completamente all'altro, al diverso, a chi viene da fuori: è un'Italia che, nella sua apparente simpatia e amabilità, dimostra una modernità solo superficiale e nasconde ancora diffidenza, intolleranza e discriminazione verso lo straniero. Gli italiani inoltre appaiono schiavi di antiche e mai superate incomprensioni reciproche. "Stai attenta. Non so se gioverà alla tua ricerca. I triestini sono diversi, non sono come tutti gli altri" [4], è il monito del professore veneziano alla giovane studentessa quando gli confessa l'intenzione di trasferirsi da Venezia a Trieste per proseguire gli studi.
L'Italia ritratta da Laila Wadia è un paese che assomiglia a un ponte di legno mal ancorato al suolo, che oscilla in maniera pericolosa poiché è battuto da molti venti, le varie culture che cercano di interagire con quella italiana. Ma lo stesso ponte oscilla anche a causa dei passi degli italiani che vi camminano sopra incerti, a volte imprudenti, verso un futuro che ancora non appartiene loro completamente. La vita quotidiana degli italiani e quella dei migranti che cercano di vivere in Italia si scontra e si mescola con difficoltà e spesso reciproca diffidenza, nello stesso modo in cui gli italiani cercano da centocinquant' anni di convivere fraternamente fra loro.