Il libro "Affronti – Tracce d'Africa" di Raffaella Cuccia è una breve ma intensa testimonianza interiore che combatte la tipica rappresentazione stereotipata dell'Africa. Raffaella Cuccia, poetessa e scrittrice, oltre a essere persona ricca di gioia di vivere e umanità, ha canalizzato le sue forze nell'impegno africano per mantenere una promessa fatta a un'inseparabile amica in punto di morte. La scrittrice parte per un primo viaggio, che diventerà il capofila di una lunga serie, per continuare la missione e l'impegno dell'amica scomparsa. L'Africa quindi la coglie all'improvviso, per casualità, non per propria scelta. A tal proposito l'autrice afferma: "Non è facile incontrare e accettare l'Africa: è come scontrarsi con il nostro io più ancestrale e ignoto, è andare a cercare le nostre radici dove non vorremmo andare, è guardarsi dentro, nel profondo, è mettersi davanti a uno specchio e non riconoscersi più se non in quella sofferenza"[1]. L'Africa, ma che cos'è l'Africa? La scrittrice lo chiarisce nel suo modo intimo e personale di affrontare il continente africano. È la scoperta dell'altro, del diverso senza la mediazione di alcuno stereotipo colonialista, è cercare di aiutare senza travolgere gli equilibri già precari di popolazioni che vivono in un mondo che non sentono più come esclusivo e in una natura che ormai sovente li respinge. Oltre all'Africa, in particolare il corno d'Africa e la zona dei grandi laghi, la protagonista di questo libro è la dignità che accompagna le persone incontrate dall'autrice lungo la sua storia, queste sono quasi tutte anonime, sono tutti dei protagonisti senza nome. La struttura e lo stile del testo scritto da Raffaella Cuccia sono quelli di un'avventura vissuta nell'interiorità, la scrittura si espande seguendo un flusso di conoscenza in realtà controllato, lascia spazio a riflessioni mature attraverso un linguaggio poetico e sensibile, senza mai marcare il discorso con impronte o tracce neocolonialiste. Il testo è accompagnato da illustrazioni e disegni di Alberto Parigi, il titolo dei singoli capitoli richiama in generale i colori e le loro possibili sfumature, mentre la foto di copertina intitolata Affronta, di Sandro Palla, gioca chiaramente sul contrasto dei colori.
L'aspetto più toccante e drammatico della scrittura di Raffaella Cuccia è l'incontro con un campo profughi, la cui visione è così attuale in quanto l'emergenza umanitaria del corno d'Africa sta aggravando una realtà già devastata da molti anni. Il suo racconto è fatto di poche parole che rimangono avvolte in un incredibile silenzio dentro il quale l'autrice è entrata: "..qui c'è il silenzio, il silenzio dei senza tempo e dei senza luogo, il silenzio della privazione di emozioni, degli anaffettivi, il silenzio dei senza sogni, il silenzio scomposto e narcotizzato della desolata rinuncia a se stessi. È questo l'inferno"[2]. Una volta entrata Raffaella Cuccia teme di non uscire più dal campo profughi, tutto è immobile, lei compresa, i suoi piedi sono attaccati al suolo, avanzano pesantemente, con grande fatica, ma alla fine, concludendo il suo libro, la scrittrice afferma: "Ho rivolto e poi tenuto il mio sguardo giù, verso questa terra, ed è questo rosso caldo luminoso e così vivo che porto dentro come simbolo dell'abbandono, della disperazione, della rabbia e della ribellione. E di una dignità sempre in bilico"[3].