El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

julio monteiro martins - la grazia di casa mia

raffaele taddeo

Julio Monteiro Martins - La grazia di casa mia
Rediviva Edizioni - 2013
pp. 182, 14 €

Nelle pagine di el-ghibli siamo abituati a trovare quasi costantemente testi,  sia in prosa che in poesia, di Julio Monteiro Martins, testimonianza di una generosità ineguagliabile. Solitamente riceviamo da lui racconti e solo raramente poesie, ma evidentemente anche la poesia è uno dei suoi seri impegni creativi ed intellettuali. La grazia di casa mia è una silloge poetica che, come si legge nella postfazione di Alessio Pardi, ha richiesto molto tempo (oltre una decina d’anni) per  essere completata.

Alcuni elementi presenti nella suddetta postfazione sono importanti anche e non solo per comprendere l’intento poetico dello scrittore di origine brasiliana. Mi riferisco essenzialmente alla sintonia di pensiero fra quello di Platone e quello di Julio Monteiro Martins. Alessio Pardi trova che alla base della poesia del poeta italo brasiliano ci sia la concezione del mondo delle idee platonico, idee che sono perfette e che la poesia attraverso le parole le riscopre nella realtà e le fa riaffiorare nella sua verità.

Io preferisco soffermarmi su altri aspetti della organizzazione della poesia di Julio Monteiro Martins. Uno degli elementi che immediatamente affiorano è la struttura di una poesia che sembra piuttosto una proesia perché generalmente ci si trova di fronte a frasi, non diverse da quello di una prosa, che appaiono solo spezzettate così da formare dei versi. Lo scarto fra linguaggio della prosa e quello della poesia è quasi annullato. Le figure poetiche, le metafore,  sono quasi del tutto assenti. Ciò che fa poesia è il senso ultimo di tutta una composizione. Già questo elemento sta ad indicare una caratteristica fondamentale del fare poesia di Julio. Egli predilige un linguaggio semplice colloquiale eliminando ricercatezze terminologiche che selezionerebbero immediatamente il pubblico dei lettori. Ma questo dato avvicina moltissimo la modalità della organizzazione della poesia  a quella della struttura della prosa dello scrittore di origine brasiliana. Egli infatti è noto anche per aver introdotto coerentemente in Italia la struttura del racconto breve in cui spesso personaggi non sono solo uomini o donne (bambini e bambine), ma anche oggetti, situazioni, arredamento. Il personaggio è dato dalla situazione che la scansione spazio-temporale  assegna a qualcosa, a qualcuno. Sia il prof. Gnisci che il sottoscritto avevano individuato nella scrittura di Julio Monteiro Martins una sorta di fotogrammi, così che le raccolte di narrazioni diventavano mostre fotografiche. La ridotta presenza di funzioni cardinali, come direbbe Ronald Barthes, fanno sì che ogni testo narrativo possa dirsi un testo di poesia,  cioè la composizione narrativa diviene in sé una composizione di poesia. Qualcosa di analogo avviene nelle composizioni di poesie perché, proprio   questa  struttura di proesia sembra di potersi trasformare  da un momento all’altro in una composizione narrativa e non poche poesie hanno proprio un andamento narrativo, così che in Julio Monteiro Martins la narrazione si trasforma spesso in poesia e la poesia assume il contorno di una narrazione.

La silloge La grazia di casa mia propone diversi temi che è opportuno analizzare perché importanti e significativi. La prima tematica che si propone subito con due poesie iniziali riguarda  la poesia e la sua funzione nella società attuale, ma anche il suo raggio d’azione.  E’ appunto con una narrazione versificata che ci si vuole dire che cosa avviene nell’oggi con la poesia, che seppur si prepari come una donna  elegante, tuttavia l’accidente della pioggia, delle pozzanghere, non le permette di arrivare all’appuntamento con una apparenza decente, ma trasandata. “E ti presenti così?/ - Sono riuscita ad arrivare,/ ma in queste condizioni..”…”Allo specchio,/ mi ricordo,/ mi sembravo proprio ammodo… -/ bisbigliò tra sé/ la poesia disfatta,/ mentre allungava la mano/ per raccogliere il piattino/ con gli avanzi di torta.”  Chi accoglie la poesia e le offre un piatto d’avanzi è un vecchio.  Sembra che ci sia, pur senza volerlo, una visione pessimistica della presenza della poesia nella situazione odierna che non fa altro che abbruttirla, non riconoscerla, e specialmente  appena  tollerarla e accettarla ma da un anziano. La poesia sarebbe quindi lontana dai giovani, non si legherebbe alla dinamica giovanile presa com’è  da frenesia e disattenzione totale.  Il secondo testo riguarda ancora la poesia che è presente in ogni cosa e non ha temi o situazioni privilegiate. In qualche modo riprende la polemica contro gli stili di ascendenza classico-latina per cui la poesia potrebbe esserci solo in temi elevati.  “Che c’entra il frigorifero/ con il monte delle nebbie?/ E dov’è la poesia,/ caro mio?/ Eh be’,/ tutto c’entra con tutto,/ e la poesia è ovunque,/ caro mio.”…”Sì, perché il fatto/ è che tutto c’entra./ C’entra la luna/ con le onde del mare/ - così dicono./ C’entra il culo/ con i pantaloni./ C’entra il miele/con il grasso/ e il percorso/ con i calli.” La poesia allora è nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni,   non ha nulla di superiore ai fatti che accadono ogni giorno e alle stesse necessità biologiche. “Anche Eliot si imbattè / in questo  dubbio/ before the taking/ of a toast and tea.[ prima l'assunzione di un brindisi e tè]/ Io invece/ - ho già deciso -/ prendo il tè / con I biscotti al burro.”

Un altro tema significativo riguarda la parola, la sua capacità di reificazione, ma anche la sua versatilità che si protende fino al gioco. Intanto la parola per il poeta è stata una riconquista dal momento che ha dovuto “Lasciare la favela/ e riacquistare la favella”. In questi due versi c’è tutta una storia perché il lasciare la favela ha voluto significare quasi dimenticare la capacità di scrivere perché come dice il salmo 136 non si può cantare lontani da Gerusalemme; cioè è impossibile scrivere lontani dal territorio di nascita, a meno che non si muore un po’ e si rinasce perché si assume un altro territorio, diverso da quello di nascita, come proprio.  E la rinascita avviene anche nella sfera di applicazione della parola alla realtà. “Avevo tanta paura/ dei sostantivi astratti/ che mi sentivo al sicuro/ persino fra gli aggettivi”…”Forse ho capito/ che tutti i sostantivi/ sono astratti./ Che parola è parola/ e cosa è  cosa,/ e che è molto pericoloso/ scambiare una per l’altra”. Le parole possono anche far giocare nel loro rincorrersi, nel loro avvicinarsi nel significante ed essere distantissime nel significato. “Pupazzo,/ pompetta, pompelmo/ tafferuglio, baruffa,/ buchetta, bucaniere,/carboniere, carabiniere/ (sono fortissime/ queste parole straniere)”. E qui ci troviamo di fronte ad un concetto dal molteplice significato perché se “parole straniere” è riferito solo a “carabiniere” ciò potrebbe alludere alla sua derivazione dal francese, ma se è riferito all’insieme della parole citate in precedenza  allora quell’espressione “parole straniere” assume un altro significato perché rivela ancora il forte legame che vi è fra il poeta e la sua lingua natia perché ogni altra è sentita ancora come straniera. Entra così in contraddizione e conflitto proprio con quanto espresso nella poesia precedente e cioè “Lasciare la favela e riacquistare la favella”.

Poi abbiamo il tema dell’amore espresso dal poeta  con brevi racconti in poesia che ne evidenziano  la sua incarnazione più che la sua glorificazione o esaltazione.   In Accoppiamento il poeta vede l’amore, con tutti i suoi umori, come possibilità di difesa dal mondo: “Hanno capito/ che il mondo fuori/ non resterà fuori/ per molto”…”Ma a quel punto/sudore e saliva,/ sperma e lacrime,/avranno ricoperto/i loro corpi fusi,/saranno scomparsi/in fondo ai loro umori”. Molto più significativa, realistica, è la poesia Melania in cui emerge la fatica di ogni giorno dell’io di vedere la propria amata assorbita da molte faccende nobili, altruistiche, di impegno sociale, ma inconsapevole della guerra che gli scatena quotidianamente “e io non potevo spiegarle/ che la guerra è anche qua dentro,/in questo studio dormitorio,/dove una lesione ingiusta/ un colpo d’amore sottratto,/ a ogni mattina/ apre le porte a tutte le furie,”. L’amore sentito come tensione, inappagamento del desiderio che genera frustrazione ma continua rinascita del desiderio, vera spinta e cardine di ogni duraturo amore.  (Si racconta che Petrarca abbia rifiutato di sposarsi per paura che con l’appagamento venisse meno il desiderio e con questo anche  l’amore).

In uno scrittore-poeta i cui natali sono altrove non poteva mancare il tema dell’espatrio. E’ già stato annotato qualcosa in precedenza ma Vivere in esilio è un testo che esprime in pieno  la posizione e la condizione dello  sradicamento in cui si sente condannato il poeta. Intanto usa la parola (in questo caso alla Leopardi) “esilio”, carica di significato perché il poeta, pur avendo lui stesso scelto di abbandonare il Brasile si ritiene un esiliato. L’esilio solitamente avviene quando si è cacciati via da un paese, se vi è stato comunque un ostracismo; quando invece l’allontanamento da un territorio avviene per libera scelta e ci si sente in esilio ciò è dovuto a rotture che si sono avute nei confronti  della società da cui ci si è allontanati. Ci si sente in esilio perché qualche danno morale, psicologico, più che materiale si è ricevuto. Ma poi il poeta accentua la sua disappartenenza con quel “vivere” considerato un ossimoro quando è unito con esilio. Fuori dal territorio di nascita, quando “violentemente” se ne è venuto fuori è impossibile vivere. “Vivo l’esilio/ come funebre kermesse,/preparandomi goffamente/per l’arcana,/classica tragedia:/morire in esilio./ Esalare l’ultimo respiro/ in lontananza,/eternamente assente/dalla grazie di casa mia”. Come è possibile vedere quest’ultimo verso da il nome a tutta la silloge. Una prima interpretazione,  senza la lettura delle poesie o almeno di quest’ultima, avrebbe indicato  in quel  titolo qualcosa di più sereno e pacifico, domestico, familiare, bonario. Invece si rivela tremendamente angosciante perché ne esprime in maniera intensa il dramma dell’espatrio e della disappartenenza.

E’ fuorviante rispetto ai limiti di una recensione prendere in esame tutti gli altri temi presenti in questa raccolta, ma mi sembra doveroso analizzare il tema dei bambini, anzi dei bambini mai nati, cantati in due poesie,  la prima Bambini e la seconda Ai figli silenziosi.  “I bambini/cospirano per nascere”…”L’essere invisibile/ fa casa nel cuore/ dei malaccorti/genitori./Da lì esce solo/ per testimoniare,/allegro e pieno di malizia,/l’atto ansimante/della propria creazione”.  Questo desiderio di avere vita, di approfittare dei malaccorti genitori, dei preservativi rotti, dell’entrare dentro improvvidamente o meglio inconsapevolmente, quasi che si realizzi una “provvida sventura”, senza responsabilità, assume in Julio Monteiro Martins un religioso inno alla vita, che gli conferisce tutta responsabilità della paternità: “E’ a quelli/- non so nemmeno/quanti siete-/che non hanno visto il mondo/che voglio dare/questo secondo e ultimo addio./ Vorrei avervi visto / dire la prima parola,/fare un passo/ nel mondo dei viventi,/dirmi qualcosa/anche con i vostri sguardi./Ma quegli occhi/non si sono mai aperti”…”Figli miei abbozzati,/accennati, immaginati,/vostro padre vi pensa./E’ molto poco,/lo so./Ma era poca l’aria/ nei miei polmoni/per una così lunga/traversata.”. Sì è qualcosa di religioso,  come afferma Alessio Pardi, perché i bambini mai nati, anche solo pensati acquistano senso e vita, acquistano qualcosa di sacro e la stessa unione delle persone si sacralizza perché sacro è il frutto che avviene dal loro amore, dalla loro commistione di umori, sudori, sperma.

La silloge di Julio Monteiro Martins è un testo importante, intenso fatto di una poesia semplice, discorsiva ma profonda ove ciascuno si rispecchia perché trova sempre qualcosa che gli è proprio, che gli appartiene, che lo mette in discussione. In questo sta la grandezza della poesia di questa raccolta perché  l’esperienza del poeta diventa l’esperienza di ogni lettore. La poesia di Julio non è lirica che si attorciglia in estetismi inutili e fuorvianti, ma è una musica che fa riflettere proprio perché   si presenta semplice, leggibile come una prosa.  La poesia coesiste in ogni cosa e perciò, anche nel linguaggio, non si discosta da ogni cosa, da ogni attività anche più umile e insignificante.  

gennaio 2014

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