Un’altra giovane studiosa, dopo Silvia Camilotti e Rosanna Morace, ha
affrontato i gli aspetti relativi alla Letteratura della migrazione e alle sue
problematiche. Il testo è uscito già nell’aprile del 2013, ma solo recentemente
ne sono venuto a conoscenza. Diviso
essenzialmente in tre parti, la prima più di sapore introduttivo, la seconda
intitolata “Teorie” e la terza “percorsi di lettura”.
In “teorie” si
mettono a fuoco la genesi della LdM e le varie denominazioni sorte e
succedutesi nel tempo specificandone le
origini letterarie e/o filosofiche di ciascuna di esse. La studiosa analizza la
denominazione fatta dalla professoressa
Parati che nel 1995 l’aveva denominata
“Letteratura italofona”, poi quella voluta dal prof. Gnisci che nel ‘98 aveva chiamato
l’insieme degli scritti di questa nicchia letteraria “Letteratura
italiana della migrazione”, per passare successivamente alla denominazione di
“Letteratura minore”, di derivazione filosofica. Un’ attenzione particolare
riserva alla denominazione di “Letteratura postcoloniale” per cui si avrebbe
una estensione della particolarità dei testi scritti da autori provenienti dal
Corno d’Africa a tutta la produzione di scrittori di origine straniera che
hanno scelto di esprimersi in italiano. La preferenza della giovane studiosa
sarebbe quella di “scritture italiane della migrazione”, denominazione proposta
a Bologna in un convegno del 2010 dal prof. Pezzarossa, il quale è anche
iniziatore della rivista “scritture migranti”, edite dall’Università di
Bologna. Un breve capitolo riserva alla possibilità di denominare tutto il fenomeno come “Letteratura Mondo”,
facendo ascendere il nome da concezioni elaborate da Edoard Glissant.
Correttamente questa ipotesi viene scartata nel momento in cui si avrebbe la “Letteratura mondo” quasi per
un’azione educativa come sostiene Gnisci, secondo cui la Letteratura della
migrazione sarebbe un’occasione per una
“mondializzazione” reciproca, viene mondializzata “la mente italiana e la letteratura italiana”
e dall’altra gli scrittori migranti
“accettano di educarsi letterariamente”. Ma neppure può pensarsi ad una
Letteratura mondo solo ed in virtù di traduzioni o circolazioni anche perché
come correttamente osserva Chiara Mengozzi “La Letteratura mondiale è lontana
dall’essere un pacifico convivio delle differenze” e “ le opere non
attraversano i confini e non accedono alla traduzione in uno spazio omogeneo
retto da rapporti di equità”. La studiosa fa derivare il problema di una
Letteratura mondiale da quanto già preconizzava Goethe all’inizio del
1800. Viene anche messo tra parentesi la
possibilità di denominare gli scritti di stranieri in Italia “Letteratura
dell’impegno”, quasi a rinverdire i momenti del “neorealismo” e di
letterati “engage”.
In “percorsi di
lettura” Chiara Mengozzi mette in risalto alcuni aspetti relativi agli
scritti a “quattro mani” come comunemente si dice, fatto che si è evoluto nella
pluriscrittura di un testo come è il caso di “Amiri”, e quindi il problema della autorialità, che
nacque subito spinoso con i testi “Immigrato” e “Volevo diventare bianca”. Poi analizza il senso delle autobiografie e
la narrazione del sé che va da una possibilità di liberazione ad una rinnovata
normatività conferita dalla scrittura, infine si prende in esame il problema
del nome straniero che viene espropriato,
rappresenta una stigmatizzazione, ma a volta viene rivendicato e
riappropriato.
La prima
impressione che si ha dalla lettura di questo testo, pur ampio e
scientificamente ben costruito, è che siamo ancora di fronte ad un testo per lo
più a carattere sociologico e/o di teoria della Letteratura. Non viene mai presa
in esame la qualità letteraria di un testo, anzi l’insistenza con cui i testi
autobiografici vengono detti “recits de vie”, sta a testimoniarne la
sottovalutazione estetica. Nessuno si porrebbe a classificare “On the road”
come un “recits de vie”. Anche molti testi di finzione vengono in qualche modo
sussunti a testi in parte autobiografici e quindi appartenenti al genere di
“recits de vie”, come se ogni testo letterario non contenga in sé elementi di
autobiografismo. Non si fa così giustizia agli autori delle cosiddette “scritture migranti”, che non amano essere
presi in esame per quanto di autobiografia ci sia in loro, me per la qualità
letteraria dei loro testi. Dopo vent’anni ritornare sulla scrittura a quattro
mani, sull’autobiografismo o racconti di vita lascia ancora perplessi, si rende
ancora più alto lo steccato che si vorrebbe assottigliare fra Letteratura della
migrazione e Letteratura italiana.
Per quanto
attiene alla denominazione: per quale ragione non è stata presa in esame quella
di “Letteratura nascente”, forse perché non è circolata in ambito accademico?
Siamo ancora ad uno iato fra società e mondo accademico, come se proprio con le
“scritture migranti” un ruolo importante di diffusione e stimolazione non sia
stato fatto dal mondo non accademico. Anche la funzione dell’associazione Eks&tra
è stata presa molto poco in considerazione, mentre tale associazione è stata un
volano fondamentale a metà degli anni
’90 per la crescita e sviluppo delle “scritture migranti”. Un esame più attento,
poi, andava riservato all’analisi della
denominazione non tanto di Letteratura mondiale, ma letteratura-mondo
ascendente a Glissant, perché pur prendendo le mosse da Goethe, il problema
della Letteratura mondo si pone sotto due punti di vista: a) il superamento
delle Letterature nazionali; b) i contenuti dei testi letterari che possono
dirsi Letteratura-mondo. Anche se questi due aspetti sono interconnessi perché
sono proprio i contenuti che determinano la disappartenenza ad una Letteratura
prettamente nazionale possono tuttavia essere analizzati anche separatamente.
Di fondamentale importanza mi pare il problema della deterritorializzazione,
che non viene per nulla preso in esame da Chiara Mengozzi e che è il filo rosso
presente in quasi tutte le opere delle “scritture migranti”.
Gennaio 2014