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metà di un sole giallo - chimamanda ngozi adichie - traduzione susanna basso

itala vivan

Metà di un sole giallo - Chimamanda Ngozi Adichie - Traduzione Susanna Basso
Einaudi - 2008
pp. 450, 19,50 €

Metà di un sole giallo è il secondo romanzo di Chimemanda Ngozi Adichie, giovane nigeriana ibo che ha appena superato i trent’anni e fa parte di una nuova generazione di narratori africani che frequentano il mondo universitario e letterario euroamericano e però intendono mettere – o, meglio, mantenere – radici narrative nella propria tradizione originaria, come fa anche il venticinquenne Uzodinma Iweala in Bestie senza una patria, anch’egli ibo e anch’egli pubblicato in Italia da Einaudi.

La Adichie è qui alla sua seconda prova narrativa, che viene dopo Ibisco viola,  clamoroso successo internazionale, portato in Italia da Fusi Orari nel 2006. Metà di un sole giallo ha la fortuna di avere come traduttrice la bravissima Susanna Basso, che rende al meglio la prosa dell’originale, mentre nel caso di Iweala c’era stata una disastrosa versione che aveva reso il linguaggio innovativo dell’autore in un italiano sgrammaticato simile a quello parlato da africani che stessero faticosamente imparando la nostra lingua.

Sembra utile avvicinare questi due scrittori perché essi sono entrambi nigeriani ibo, e cioè provengono dalla regioni orientali del paese dove si concentrano i giacimenti petroliferi che furono alla base della terribile guerra civile – nota come la guerra del Biafra – che straziò la Nigeria dal 1967 al 1970, causando centinaia di migliaia di morti e aprendo una ferita gravissima nel tessuto della recente nazione postcoloniale. Entrambi provengono da famiglie assai agiate quando non addirittura molto importanti e hanno perciò potuto avere un’istruzione internazionale di élite; entrambi, infine, sono cresciuti nel dopoguerra biafrano, in un contesto ormai lontano dai sanguinosi anni Sessanta.

Alle molteplici circostanze esterne che li accomunano va aggiunto il fatto di provenire da un’area culturale – quella di lingua ibo – fortemente alfabetizzata e cristianizzata, ricca di una tradizione letteraria orale e scritta di grande spessore, e che ha alle spalle una produzione narrativa di stampo popolare di originalità e rilievo, nata intorno alla città-mercato di Onitsha e diffusa capillarmente attraverso una editoria di chapbooks distribuiti nella rete dei grandi mercati nigeriani. Questo genere letterario molto popolare raggiunse l’apice proprio negli anni Sessanta, sino alla guerra civile, quando le grandi città-mercato erano al culmine della fortuna, prima che i massacri e la guerra senza quartiere ne intaccassero  il tessuto economico e sociale. Va però detto che anche la letteratura di alto livello che proviene dall’area ibo conserva comunque un’impronta popolare nei temi, nel linguaggio e nella rappresentazione della società: autori come Chinua Achee, Cyprian Ekwensi, Elechi Amadi, Flora Nwapa sono ben radicati nell’immaginario popolare e nel contesto culturale del popolo ibo, il quale ha alle spalle una lunga tradizione democratica che neppure il colonialismo britannico, con la sua indirect rule, è riuscito a intaccare.

Entrambi questi due giovani autori si collocano nel filone narrativo nigeriano ibo, ed entrambi hanno scelto di ambientare un romanzo nel vivo della guerra civile combattuta dalla generazione dei loro genitori, a testimoniare il bisogno di ritornare sulla storia recente del paese, ripensarla, riportarla alla memoria e alla discussione.

 

Metà di un sole giallo deriva il titolo dal simbolo al centro della bandiera del Biafra: appunto un sole levante, a significare un nuovo inizio per quello che avrebbe voluto essere un nuovo paese indipendente dalla federazione nigeriana. Il tema si svolge tutto intorno a questo filo della speranza che sorge e per cui si combatte, e che però alla fine annega nella sconfitta. Le vicende si giocano a partire dai primi anni Sessanta e sino alla fine del decennio, con puntuale esattezza storiografica, attraverso una serie di personaggi portanti. I protagonisti sono le due sorelle gemelle Olanna e Kainene, figlie di un ricco imprenditore ibo, e i loro partner, l’ ibo Odenigbo, un intellettuale dalle idee ‘rivoluzionarie’ che insegna matematica all’università di Nsukka, e l’inglese Richard, giunto in Nigeria perché innamorato dell’arte ibo e poi identificatosi con la causa del Biafra. Il romanzo si svolge interamente in area biafrana e l’epicentro è Nsukka ove la casa di Odenigbo e poi anche di Olanna diventa ritrovo di un gruppo di amici e luogo di acceso dibattito culturale e politico. Accanto a queste figure principali ci sono da un lato le loro famiglie, con il portato tradizionale (Odenigbo) o modernizzatore (Olanna e Kainene), e dall’altro i loro servitori, Harrison per Kainene-Richard e Ugwo per Odenigbo-Olanna.

L’intreccio combina abilmente le vicende personali dei personaggi – amori, tradimenti, rancori e rappacificazioni – con gli avvenimenti drammatici che hanno segnato la storia del Biafra e della Nigeria in quegli anni. Sullo sfondo, con rilievo maggiore o minore, a seconda dei casi, si muovono un gran numero di figure che, sebbene meno importanti, sono tratteggiate con vivezza e incisività, caratterizzando la cultura del luogo e dell’epoca e la sua risposta alla tragica emergenza bellica. Fra tutte loro emerge Ugwo, fedelissimo a Odenigbo e Olanna, che finisce catturato nella coscrizione obbligatoria dell’ultimo periodo della guerra e assaggia l’allucinante condizione di quell’esercito, ormai dominato da mercenari deliranti e ragazzini drogati.

La storia della guerra si apre con una serie di stragi di cittadini di etnia ibo condotte dovunque nel paese, e si conclude con la distruzione della regione del Biafra e la resa per fame della popolazione ibo, con l’esercito federale che avanza (nel romanzo i nigeriani vengono chiamati ‘vandali’), i soccorsi umanitari che man mano scompaiono e i capi che fuggono, mentre si intensificano pesanti bombardamenti sui civili con aerei forniti dal  Regno Unito e dall’Unione Sovietica. Risulta evidente, alla fine, che la soggezione imposta agli ibo è una manovra organizzata sin dall’inizio, con le stragi di civili inermi prima e, poi, lo strangolamento finale della strenua resistenza militare e civile del Biafra. In questo contesto, i personaggi – che sono una  vera folla -- si collocano su versanti diversi e incarnano una vasta gamma di atteggiamenti culturali e politici: tutti, comunque, rimangono sconfitti dal crollo di un sogno comune e dalla rivelazione di essere vittime impotenti di un gioco più grande di loro in cui la Nigeria è una pedina nelle mani di burattinai internazionali.

Ciò non toglie, comunque, che si addossi a varie figure ibo, yoruba, hausa, ecc, una responsabilità o corresponsabilità gravissima in quanto avviene: da un lato c’è chi bada soltanto a fare affari e accumulare ricchezze per sé, mentre dall’altro c’è chi si lascia travolgere da una visione di potenza che vuole a tutti i costi realizzare a scapito della salvezza di un intero popolo. La secessione del Biafra dalla federazione, insomma, è stata decisa e condotta con leggerezza e senza appoggi esterni: neanche i paesi africani hanno riconosciuto il Biafra, ad eccezione della Tanzania di Nyerere, e il burbanzoso e improvvido generale ibo Ojukwu (‘Sua Eccellenza’, come viene sempre indicato nel romanzo) non ha saputo tessere una rete di sicurezza per quanti si erano affidati a lui e al suo regime. Risaltano, nella colorata e viva caratterizzazione dei personaggi, le differenze di atteggiamento e cultura, ma anche i diversi interessi economici e politici che emersero fra gli hausa e gli ibo, mentre gli yoruba rimasero più in margine al conflitto (salvo militare nell’esercito federale che uccideva e distruggeva il Biafra) e altri gruppi etnici non sempre si schierarono con gli ibo (‘sabotatori’, vengono spesso chiamati nel romanzo). Alla fine, quando tacciono i frastuoni della guerra, varie voci dichiarano di esser state all’oscuro di quanto accadeva sino a che la stampa internazionale aveva denunciato gli orrori perpetrati in Biafra, le orde di rifugiati in fuga, i bambini morenti di fame e malattie.

Una guerra civile è una tragedia collettiva di gravi proporzioni non solo per le perdite, i danni e gli odi che provoca, ma anche per le atroci ambiguità e connivenze che implica e rivela. Le indagini su cause e modalità di una simile realtà passata sono difficili, e spesso continuano a lungo, magari dopo (o forse in attesa?) che determinati protagonisti siano scomparsi dalla scena, o che le condizioni della politica internazionale consentano di parlare chiaro. Ma proprio questo viluppo di tragedia e complice oscurità, questi interrogativi ancora aperti, sollecitano il narratore e gli suggeriscono di raccontare attraverso delle storie individuali, rappresentando e mettendo in scena, come fa Adichie in questo romanzo. La storia del Biafra è già stata più volte esplorata da romanzieri nigeriani, fra i quali vanno ricordati Chinua Achebe, Buchi Emecheta, Chukwuemeka Ike, Flora Nwapa e Cyprian Ekwensi, ma anche Ken Saro-Wiwa nel bellissimo Sozaboy, e Wole Soyinka, che in Stagione di anomia ma anche ne L’uomo è morto ha offerto una visione allucinata e disperante di quell’universo in guerra: e però in tutti questi casi si trattava di individui che avevano direttamente vissuto quel periodo. Chimamanda Ngozi Adichie appartiene invece a una generazione successiva alla guerra,  e ciò le consente di ritornare sul tema con elasticità immaginativa, cioè, di creare più liberamente dei personaggi che incarnino quella vicenda e i suoi vari aspetti politici ed esistenziali per riportarli sul palcoscenico dell’attenzione contemporanea. Infatti la questione che fu alla base della guerra civile di allora – gli interessi derivati dai ricchi giacimenti petroliferi della regione – appare tuttora irrisolta, anzi, incancrenita, e sta provocando quella che già si configura come una guerriglia nell’area del Delta del fiume Niger. Le storie dolorose di Olanna e Odenigbo, Kainene e Richard mirano, oltre che a commuovere per la loro umanità, anche a mettere in guardia da un lato contro l’insolenza dei prepotenti, dall’altra verso ogni leggerezza che spezzi la forza di un popolo e impedisca di lottare per giuste cause comuni.

Visto nella grande corrente del romanzo nigeriano, Metà di un sole giallo si colloca nel mainstream della tradizione di Achebe ma anche di Ekwensi, e rende onore alla statura del grande poeta ibo Christopher Okigbo, morto combattendo nell’esercito biafrano, e trasformato, nel romanzo, nel personaggio del poeta-soldato Okeoma. E’ costruito secondo lo schema di narrativa popolare e politica ormai consolidata in Nigeria, uno schema che talvolta sembra ripreso in modo pedissequo, con citazioni continue interne ai fatti e ai personaggi, e che la stessa autrice giustifica con una nutrita bibliografia finale che però è stata inspiegabilmente eliminata nella versione italiana. La notevole scioltezza di imaginazione ed espressione che aveva caratterizzato Ibisco viola  si ritrova in parte anche qui, insieme a una certa lentezza nel risolvere i nodi narrativi (che talora si prolungano al di là di quanto sarebbe auspicabile) e a una certa goffaggine nei dialoghi. In questo ultimo caso, va detto che Adichie imposta spesso le battute dei personaggi secondo uno schema parlato africano che è molto cerimonioso, e certamente ha rituali fissi; ma non tutto ciò che è consuetudinario nell’ orale riesce poi efficace nella scrittura di un romanzo lungo e articolato come questo. L’oralità dovrebbe rivivere più nei ritmi che nelle formule: dovrebbe essere, cioè, più musicale che formulaica, per riuscire accettabile in un romanzo-fiume quale è Metà di un sole giallo.

Il nuovo romanzo di Adichie, al di là dei propri meriti specifici, che rimangono comunque notevolissimi,  si colloca in una lunga tradizione letteraria che non va sottovalutata, e testimonia un serio e intenso proposito di ricerca storica e culturale, creando una nuova via di ingresso alla lettura di una fase tragica della  storia nigeriana ancora densa di interrogativi per le generazioni più giovani.

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